Attualmente viviamo un momento storico e culturale in cui la birra ha mutato drasticamente i suoi livelli d’apprezzamento, guadagnando di fatto stima e considerazione da tanti palati che in precedenza la sottovalutavano. Proprio in questo contesto, la birra non è più il solito prodotto piatto delle grandi aziende multinazionali, ma è diventata anche la bevanda dei piccoli birrifici artigianali ricca di passione e qualità. Tuttavia la confusione generata dietro questa gigantesca bolla, che coinvolge l’emisfero industriale e quello artigianale, è sicuramente tanta. Quali sono le differenze tra una birra industriale e una artigianale? Vediamo di rispondere a questa domanda, spiegando sopratutto che dietro la loro apparente uguaglianza esiste un mondo completamente agli antipodi.
Indice
La birra artigianale esiste?
La birra artigianale non è una trovata pubblicitaria! Essa esiste ed è salvaguardata da una legge del 28 luglio 2016, che sancisce le caratteristiche produttive e societarie a tutela del consumatore, il quale ha diritto di sapere cosa compra e da chi è prodotta.
“Si definisce birra artigianale la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e di microfiltrazione. Ai fini del presente comma si intende per piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza di utilizzo dei diritti di proprietà immateriale altrui e la cui produzione annua non superi 200.000 ettolitri, includendo in questo quantitativo le quantità di birra prodotte per conto di terzi.“
Questo è quanto dice la legge. Tuttavia per godere appieno di un prodotto puramente artigianale bisogna avere la certezza che si tratti effettivamente di una birra artigianale.
Da quando questa bevanda ha iniziato ad attirare una certa mole di consumatori, il numero dei birrifici artigianali è aumentato a dismisura. La crescita esponenziale sia della domanda che dell’offerta artigianale, ha incentivato le grandi multinazionali a rivedere i propri prodotti, attivando una comunicazione mediatica decisamente forviante per il consumatore.
Una comunicazione resa ancora più incomprensibile dall’ingresso di queste grandi aziende nel settore artigianale, attraverso l’acquisto diretto di tanti piccoli birrifici. Di conseguenza è opportuno, a difesa della qualità artigianale, prestare attenzione alla provenienza della bevanda.
A tale proposito l’Associazione Unionbirrai ha creato il marchio “Indipendente e Artigianale“. Inoltre è stato istituito un portale dedicato che raccoglie l’elenco dei birrifici artigianali italiani, garantendo altresì la provenienza e l’originalità della vera birra artigianale.
Cambiano i tempi e la produzione…
Abbiamo parlato di piccoli birrifici acquistati dalle grandi multinazionali. Ovviamente sono mosse di marketing con l’obiettivo di spostare il consumatore, ormai attento ed esigente, verso proposte pseudo artigianali. Tuttavia per quanto astuta possa essere l’azione delle grandi aziende birraie, le disparità qualitative nei confronti della birra artigianale rimangono e sono davvero tante.
Tralasciando per un momento l’aspetto legale, che definisce come e quando un birrificio artigianale si può definire tale, spostiamo l’attenzione sul processo produttivo. Cosa cambia tra la produzione di una birra industriale e una artigianale?
Le Materie Prime
Il processo di birrificazione (artigianale, industriale o casalingo) ruota sempre attorno a quattro passaggi fondamentali, ovvero macinatura, ammostamento, bollitura e fermentazione. Tuttavia a diversificare queste fasi nella produzione è senza ombra di dubbio la qualità delle materie prime, che inevitabilmente faranno la differenza nel prodotto finito.
Sebbene esista ottima birra industriale che utilizza materie prime di altissima qualità, genericamente una produzione industriale tende a ottenere il massimo profitto riducendo le spese di produzione. In questo risparmio inevitabilmente a pagare pegno sono le materie prime.
Il risparmio delle materie prime è legato sopratutto ai grossi volumi di produzione, i quali sono innegabilmente superiori rispetto a un piccolo birrificio industriale, che per essere tale non può superare i 200.000 ettolitri. Infatti un discorso è lavorare con materie prime di altissima qualità per un limitato volume di produzione, tutt’altro discorso è produrre con ingredienti costosi volumi decisamente più alti.
La Pastorizzazione
Il processo produttivo industriale, come ribadito, è caratterizzato da volumi di produzione piuttosto alti. La grossa mole produttiva comporta obbligatoriamente un grande stoccaggio, sottoposto talvolta a diversi anni di conservazione. Questo ha richiesto una bevanda stabile e di lunga scadenza, culminando di fatto in processi produttivi che alterano la condizione strutturale di una bevanda altrimenti destinata al continuo mutamento.
Il processo per eccellenza, utilizzato in ambito industriale per estendere il periodo di conservazione, è la pastorizzazione. Si tratta di un’azione termica messa a punto da Louis Pasteur nel 1862, utilizzata sui prodotti alimentari per eliminare lieviti, batteri ed eventuali microrganismi patogeni responsabili dei processi degradativi dell’alimento.
Tuttavia questo fantastico processo, che due secoli fa risolse il problema di una birra poco duratura, purtroppo condiziona anche la struttura di una bevanda per antonomasia considerata “viva”. Viva perché i lieviti presenti in sospensione dopo la fermentazione della bevanda continuano la loro azione anche dopo l’imbottigliamento, affinando gli aromi e i sapori della birra (maturazione).
Benché la maturazione sia uno dei punti di forza della birra, una volta che la parabola maturativa compie il suo iter, la bevanda inizia gradualmente a degradare, manifestando gli effetti indesiderati dei microrganismi presenti.
La birra industriale avendo un stoccaggio tendenzialmente lungo, andrebbe inevitabilmente incontro a una maturazione troppo estesa e quindi instabile. Questo comprometterebbe il sapore della bevanda, che risulterebbe differente e sgradevole.
Al contrario invece, essendo la birra artigianale una bevanda prodotta in quantità limitata non subisce il tempo di stoccaggio. Inoltre grazie alla catena del freddo, tendenza rigorosamente richiesta e ricercata in una birra artigianale, la stabilità e la maturazione risultano controllate a garanzia di un sapore unico e inimitabile.
La Microfiltrazione
La microfiltrazione è una pratica industriale con finalità più estetiche che funzionali. L’obiettivo di questo passaggio è quello di aumentare la limpidità, migliorando conseguentemente la stabilità strutturale di una bevanda che deve durare e non mutare nel tempo.
La birra artigianale, invece, è una bevanda viva e in continua evoluzione. Questa mutazione è opera di diversi elementi, tra cui le particelle di lievito che miscelandosi alla bevanda rimangono in sospensione anche dopo la fermentazione. Le particelle in sospensione, come approfondito nell’articolo dedicato alla torbidità, condizionano insieme ad altri componenti la limpidità e l’iter maturativo della bevanda, costituendo altresì una delle caratteristiche più strabilianti della birra artigianale.
Si tratta dunque di una peculiarità che la birra industriale non può permettersi, e che comporta inevitabilmente la perdita di carattere e profondità della bevuta resa piuttosto banale e standardizzata. Tuttavia è questo l’obiettivo delle multinazionali, che puntano a uniformare sciattamente e staticamente il gusto dei loro prodotti, soddisfacendo di fatto le aspettative dei consumatori medi. Il risultato? Una bevanda morta!
Considerazioni
Come sottolineato in precedenza, esistono diverse proposte industriali, che nonostante il processo di produzione riescono a garantire birre di ottima fattura. Basti pensare a nomi come Orval, Chimay, Chouffe o BrewDog! Tuttavia la birra, almeno quella artigianale di qualità, va oltre.
Perché standardizzare un sapore a discapito della cultura brassicola? Perché accontentarsi di un modo semplicistico e sbagliato di raccontare un mondo in continua evoluzione?
Purtroppo questi sono gli strascichi di un’inconsapevolezza del variopinto mondo stilistico della birra. Frutto delle brutte copie di lager o qualsiasi altro genere di birra distribuite dai colossi birrai, intenti solo a riprodurre un’arte che con le unghie e con i denti resiste secoli.
Di conseguenza l’unico consiglio che mi sento spassionatamente di dare è quello di “Bere poco, ma di qualità“. Non accontentatevi del solito prodotto. Evitate di fermatevi alle stupide e insensate réclame pubblicitarie di 3, 4, 5, 20 luppoli. Non credete alle grandi frasi d’effetto che propongono birra doppio malto. Una ricetta può avere svariati malti, si tratta solo di una legge italiana che identifica birre superiori ai 5 %vol.
Abbiate curiosità di scoprire la diversità dei colori, dei sapori e degli aromi dell’universo birraio. La birra artigianale è un’altra cosa ed è impossibile non innamorarsene!
Buona birra a tutti.