La fermentazione alcolica è uno dei passaggi più complessi dell’intera produzione birraia. Si tratta di uno step non direttamente controllato dal birraio, il quale possiede dei compiti (passatemi il termine) relativamente marginali. In questa fase, infatti, il vero protagonista è senza ombra dubbio il lievito, responsabile della conversione del grezzo mosto in raffinata birra.
Questo straordinario microrganismo, per vivere e moltiplicarsi, ha bisogno di nutrirsi e per farlo, inoculato nel fermentatore, metabolizza gli zuccheri presenti nel mosto. Da questa particolare peculiarità, in seguito, deriveranno tutta una serie di prodotti (apprezzati e non), i quali andranno a plasmare i connotati della bevanda finale. I più comuni sono di sicuro l’etanolo e la CO2, ma naturalmente non rappresentano gli unici derivati dell’intenso processo fermentativo.
Esistono infatti tantissimi altri prodotti della fermentazione alcolica tra cui diacetile, esteri, fenoli, aldeidi, alcoli superiori e composti dello zolfo. Questi derivati vanno direttamente a interagire con la struttura organolettica della birra finita, influenzandone positivamente o negativamente (a seconda delle diverse situazioni) aroma, sapore e percezione tattile.
Vediamo dunque di fare un’analisi più approfondita su questi prodotti, cercando di comprendere cosa sono, da cosa sono influenzati e quali caratteristiche apportano alla birra finita.
Il metabolismo del lievito e i prodotti della fermentazione alcolica
Il lievito è un microrganismo vivente e, come tale, ha bisogno di nutrirsi. Per farlo, una volta introdotto nel fermentatore, metabolizza gli zuccheri presenti nel mosto, con la conseguente produzione di diversi derivati (alcuni dei quali particolarmente cari a tutti gli amanti delle bevande fermentate).
Per degradare le sostanze nutrienti da cui trarre energia, il lievito può utilizzare sostanzialmente due strade:
- La prima è quella aerobica, che avviene in presenza di ossigeno e si chiama respirazione. In questa fase il lievito metabolizza gli zuccheri e produce principalmente acqua e CO2.
- La seconda, invece, è quella anaerobica, che avviene in assenza di ossigeno e si chiama fermentazione. In questa fase si produce alcol e CO2, insieme a tanti altri sottoprodotti di scarto.
Entrambe le due vie metaboliche iniziano dalla glicolisi, che trasforma le molecole di glucosio in molecole di piruvato, generando di fatto più energia. Da questo punto in poi, con presenza di ossigeno e basse concentrazioni di zuccheri fermentescibili, la glicolisi prosegue attraverso il ciclo di Krebs o ciclo degli acidi tricarbossilici, in cui si crea una condizione ideale alla crescita cellulare del lievito. Condizione tuttavia non particolarmente ottimale alla fermentazione della birra.
Nella produzione della birra, la fase di respirazione (aerobica) non avviene mai, si va direttamente alla fase anaerobica! Una tendenza dovuta alla particolare peculiarità del lievito che, in condizioni di alte concentrazioni di glucosio (il mosto ricavato dal malto per intenderci) e in presenza di ossigeno o meno, preferisce fermentare piuttosto che respirare (Crabtree effect).
Questo strada anaerobica da origine a diversi sottoprodotti, tra cui l’etanolo e l’Acetyl CoA (molecola da cui derivano gli esteri). Alcuni sottoprodotti della fermentazione come l’etanolo, vengono sempre espulsi dalla cellula di lievito, altri invece come l’acetaldeide, sono impiegati nel percorso metabolico ma, in particolari condizioni, possono oltrepassare la cellula e finire nella birra, interagendo così col profilo organolettico finale.
N.B.: Nella birra, il lievito utilizza l’ossigeno per le diverse reazioni e non per la respirazione. Esso permette alle cellule ci crescere e moltiplicarsi, non per conseguenza della respirazione, ma perché fornisce i mezzi adeguati per la sintesi degli steroli e degli acidi grassi insaturi, fondamentali per la formazione di una parete cellulare solida e in salute. Una membrana cellulare forte consente alle cellule una maggiore resistenza agli agenti esterni, tra cui l’alcol prodotto dalla stessa fermentazione.
Esteri
Dalla combinazione chimica di acidi e alcoli derivano gli esteri, molecole che richiamano i sentori della frutta e in alcuni casi, specie quando sono presenti in alte concentrazioni, anche percezioni odorose poco piacevoli. Ne esistono di diverso tipo, generati secondo la combinazione degli alcoli (etanolo, butanolo, ecc) con i differenti tipi di acidi (acetico, lattico, ecc).
Tra questi, uno dei più famosi è l’etilacetato, generato dal legame chimico tra l’alcol etilico e l’acido acetico. L’etilacetato è un estere che in condizioni “normali” apporta delicati aromi fruttati (pera), ma in alte concentrazioni ricorda sentori simili all’acetone. Un altro estere, talvolta ricercato, è l’isoamilacetato, derivante dal legame dell’alcol isoamilico all’acido acetico. L’isoamilacetato, a basse concentrazioni, genera un gradevole aroma di banana, tipico in determinati stili di frumento bavaresi.
La produzione di queste molecole è incentivata dalle alte temperature che interessano lo step di fermentazione, in particolare durante il periodo di crescita delle cellule di lievito, in cui l’attività metabolica è significativamente importante.
N.B.: La formazione degli esteri è catalizzata da specifici enzimi (esterasi) generati dal lievito, per cui la produzione avviene solo nel corso della fermentazione.
Fenoli
I fenoli sono prodotti che apportano complessi aromatici riconducibili genericamente allo speziato. Secondo la concentrazione nel mosto e in base al tipo di lievito impiegato, il contributo fenolico può spaziare dal pepe ai chiodi di garofano, fino a toccare (in concentrazioni più elevate) sentori affumicati, stallatici o di medicinale (cloro-fenoli derivanti da residui di un superficiale risciacquo o di un’errata sanitizzazione).
Dal sapore amarognolo o acidulo, la sintesi dei fenoli inizia dagli acidi fenolici, i quali vengono convertiti in vinilfenoli da uno specifico enzima (Phenolic Acid Decarboxylase). Si tratta di un enzima prodotto da alcuni ceppi di lievito (POF – Phenolic Off Flavour), che ne catalizza la reazione.
I POF tuttavia, non sono gli unici lieviti a possedere la chiave giusta per l’avvio della sintesi fenolica. Esistono infatti, alcuni lieviti (POF2) che producono un altro tipo di enzima, capace a sua volta di convertire i vinilfenoli in etilfenoli. Questi ultimi sono composti fenolici dai tratti più marcati, che ricordano sentori stallatici, cuoio e la particolare “coperta di cavallo bagnato”, tipica in birre fermentate con i Brettanomyces.
N.B.: Talvolta per rafforzare la produzione dei fenoli, specie con lieviti weizen (noti per apportare alla birra delicati aromi di chiodo di garofano ottenuti a partire dall’acido ferulico), i birrai praticano il Ferulic Rest. Si tratta di uno step (Ammostamento in Multi Step) utile a incentivare la produzione dell’acido ferulico durante il mash.
Aldeidi
Le aldeidi, che derivano dagli amminoacidi, si formano durante la fermentazione, grazie al lavoro metabolico del lievito. Quest’ultimo è in grado di sintetizzare gli amminoacidi grazie al processo di transamminazione, attraverso il quale se un amminoacido non è presente nel mosto, il lievito lo sintetizza prelevando il gruppo amminico da un altro amminoacido presente nel composto.
Precursori degli alcoli superiori, le aldeidi nella birra apportano aromatiche complesse, che ricordano i tratti odorosi della mandorla, dello sherry o del madeira.
L’aldeide più conosciuta è di sicuro l’acetaldeide, precursore dell’etanolo, che possiede un tipico aroma di mela verde/vernice. Questo tipo di prodotto solitamente contraddistingue una birra prossima al termine della fermentazione ma non ancora pronta a essere imbottigliata.
N.B.: L’acetaldeide solitamente è convertita in alcol etilico e la percentuale residua si mantiene su livelli inferiori alla soglia di percezione, oppure può essere riassorbita all’interno dalla cellula di lievito e convertita in alcol etilico sul finire della fermentazione.
Tuttavia, se la birra è imbottigliata prematuramente o il lievito smette improvvisamente di fermentare (abbassamento repentino della temperatura), questo prodotto della fermentazione può essere percepito nella birra finita. Inoltre può riformarsi se la birra viene a contatto con l’ossigeno, per l’ossidazione degli alcoli superiori.
Alcoli Superiori
Gli alcoli superiori sono il prodotto di scarto, con più di due molecole di carbonio (l’etanolo ne possiede solo due), che si forma partendo dalle aldeidi nella fase di sintesi degli amminoacidi durante la fermentazione. Nel processo di birrificazione, una parte di questi sottoprodotti si combina con gli acidi presenti nel mosto, generando gli esteri, mentre la concentrazione in esubero rimane nella birra.
La produzione di queste molecole è direttamente proporzionale alla crescita cellulare del lievito (produzione di amminoacidi). Una tendenza generalmente visibile in preparati dalla densità iniziale (OG) elevata che fermentano a temperature piuttosto alte, nei quali si apprezzeranno concentrazioni di alcoli superiori particolarmente consistenti.
Ne deriva che queste produzioni, data la presenza elevata di alcoli superiori, se consumate troppo prematuramente, potrebbero dare seguito a una sensazione di bruciore alla gola e apportare aromatiche alcoliche o di solvente. A tale proposito è consigliabile inoculare una quantità maggiore di lievito, proprio per evitare una crescita cellulare eccessiva.
N.B.: Dopo la fermentazione è molto difficile che gli alcoli superiori si riconvertano in esteri, in quanto tale processo è particolarmente lento senza la presenza del coenzima Acetyl CoA e senza il supporto degli enzimi esterasi, attivi solo durante la fermentazione.
Tuttavia, col passare del tempo, gli alcoli superiori tendono a ossidarsi riformando parzialmente le aldeidi, ovvero composti volatili dagli aromi simili a vini come sherry, madeira e porto. Proprio per questo motivo le birre ad alto tenore alcolico, come le Barley Wine, subiscono una maturazione più prolungata. Questa fase riconverte lentamente gli alcoli superiori in aldeidi (i loro precursori), donando di fatto complessità all’aroma e ammorbidendo la birra al palato.
Diacetile
Il diacetile, prodotto dal lievito durante la fermentazione, si forma a partire dall’acetolattato (enzima derivato dai piruvati utile per la sintesi degli amminoacidi) che, fuoriuscendo dalla cellula e depositandosi nel mosto, si ossida formando questo composto dal tipico aroma burroso.
Nonostante la presenza di queste molecole nel mosto, il diacetile è riassorbito dalla cellula che lo riconverte in butanediolo, un composto dalla soglia percettiva più elevata rispetto al diacetile.
Nelle alte fermentazioni, complici le temperature più alte a cui è sottoposto il lievito, questo processo di fuoriuscita e riassorbimento del diacetile risulta più rapido, per cui generalmente non si apprezza l’aroma burroso sia durante che al termine della fermentazione.
Nelle basse fermentazioni, invece, in cui il lievito lavora a temperature piuttosto basse, il riassorbimento del diacetile risulta più lento e l’aroma burroso inizia a sentirsi già dalla fermentazione. A tale proposito può essere utile il dyacetil rest, uno step orientato alla stimolazione del processo di riassorbimento del diacetile grazie all’innalzamento di qualche grado della temperatura a fine fermentazione.
N.B.: Può accadere che il diacetile si formi anche in condizioni di ossigeno eccessivo, come nel caso dei cask inglesi spillati a pompa. In questi casi, l’acetolattato residuo (inodore e insapore) si ossida in diacetile, che a causa del lievito ormai dormiente, non può più essere riassorbito. Va detto inoltre, che un eccesso di diacetile può essere sinonimo di infezione.
Composti dello Zolfo
I più comuni composti dello zolfo del mondo birraio sono di sicuro l’anidride solforosa (SO2) e l’acido solfidrico (H2S). Si contraddistinguono per i tipici aromi che ricordano l’aglio, fiammiferi e uova marce. Aromatiche tuttavia molto volatili, i quali tendono a dissolvendosi nell’aria, insieme all’anidride carbonica, nel corso della fermentazione.
Questi composti si possono originare sia dagli amminoacidi presenti nel mosto che dai composti sulfurei derivanti dall’acqua o dal luppolo. In particolare l’acido solfidrico si forma per riduzione dei solfati, in quanto il lievito inizia a utilizzarli come elemento riducente nella sintesi degli amminoacidi quando l’ossigeno del mosto scarseggia e i nutrienti mancano (se il lievito respira ossigeno genera acqua, se respira solfati produce acido solfidrico).
N.B.: La maggior parte dell’acido solfidrico è prodotto nelle fasi primarie della fermentazione, quando la produzione cellulare, che richiede la sintesi di amminoacidi, è al picco. Va puntualizzato inoltre, che un eccessivo aromatico di uova marce potrebbe essere indice di infezione, in quanto alcuni batteri sono produttori di anidride solforosa.
Buona birra a tutti.