Baladin, rinomato birrificio di Piozzo (CN), è considerato in Italia e all’estero come uno dei produttori birrai migliori del Bel Paese. Merito del carismatico gestore Teo Musso, da decenni pioniere di una vera e propria valorizzazione della birra artigianale, un tempo poco conosciuta e scarsamente apprezzata. Tuttavia è bene sapere che Baladin non è solo buona birra artigianale, ma anche la culla di un particolare amaro di birra rilassante e rinfrescante.
Si tratta di un amaro a base di birra Xyauyù, cervogia speciale invecchiata in legno, caratterizzata da complesse ed eleganti note ossidative, priva di schiuma e gassatura, che si completa con l’aggiunta di un particolare mix di botaniche tra cui radici di genziana e lavanda. Ingredienti che disegnano una raffinata complessità, donando al naso accentuati aromi floreali di lavanda e in bocca un sofisticato amaro legnoso della radice di genziana.
Come nasce l’idea di un amaro in casa Baladin?
La trovata di realizzare un amaro è figlia dell’irrequietezza di Teo che, si legge sul sito, una sera d’estate ammirando il tramonto delle colline delle Langhe si serve un bicchiere di Beermount, il vermouth di birra Baladin. La mente corre ai momenti in cui ha iniziato a pensarlo con l’idea di innovare ispirandosi alla tradizione. Si perde nella sua ricchezza di aromi, in cui la nota amaricata è necessaria esclusivamente ai fini dell’equilibrio. A casa tuttavia non mancano mai le spezie e allora ecco l’idea: esaltare l’amaro per produrre una nuova ricetta, quella appunto dell’amaro!
La sperimentazione iniziò proprio quella sera, in cui Teo aggiunse al Beermount la radice di genziana che lasciò in infusione per un giorno. Il risultato, seppure una semplice base di partenza, lo appagò, l’amaro era giusto, intenso e legnoso.
Con lo staff del Baladin, dunque, si riscrive la ricetta del Beermount, togliendo diverse botaniche tra cui l’assenzio e aggiungendone altre, abbinando alla radice di genziana la lavanda che completa, in contrapposizione alle sue note floreali, l’intensità dell’amaro della radice.
Nasce così l’amaro Baladin, un complesso tributo aromatico, di 20 %ABV, particolarmente indicato a fine pasto e come base per la realizzazione di ottimi cocktail.
Birra e sport è un connubio visto diverse volte, che decisamente non smette mai di sorprendere. Così la Janus Fabriano, squadra di basket marchigiana militante nella serie B del campionato italiano di pallacanestro, fa un bel regalo ai tifosi. In che modo? Comunicano la realizzazione della nuova birra ufficiale che vestirà proprio i colori biancoblu della società! La produzione affidata al birrificio artigianale IBEER, realtà birraia di Fabriano, inizierà nelle prossime settimane. Ma la società vuole assolutamente coinvolgere i tifosi fabrianesi, chiamati a decidere sui social il nome e a disegnare la futura etichetta della birra!
Le dichiarazioni
“E’ da tempo che sognavamo di creare un prodotto come questo, pensato e realizzato a 360° per e con i tifosi – commenta Lorenzo Governatori, responsabile marketing dei cartai -. Un modo per vivere la Janus anche durante la settimana e non solo il giorno della partita a maggior ragione ora che non è consentito entrare nei palazzetti.“
“Ci tenevo a ringraziare il presidente Mario Di Salvo e il management del birrificio IBEER nelle figure della proprietaria Giovanna Merloni e del direttore marketing Alessandro – continua Governatori -, i quali hanno da subito sposato con entusiasmo l’idea.Credo sia il primo esperimento in Italia di iniziative di questo genere legate al basket che non siano solamente un mero appiccicare un nomesopra una bottiglia: in questo progetto totalmente ‘made in Fabriano’, i tifosi non sono i clienti bensì i veri partner!“
“E’ davvero un grande onore per noi – replica Alessandro Campanini, direttore marketing di IBEER – essere parte di questo progetto!Negli ultimi anni si è parlato molto del binomio ‘Birra & Sport‘ visto che studi scientifici hanno dimostrato come, una moderata quantità di birra, può fungere da integratore naturale dopo una performance sportiva.”
“Nel nostro caso – precisa Campanini –, possiamo garantire l‘assoluta genuinità della bevanda, visto che IBEER è una birra agricola prodotta con cereali a km0, e con un processo artigianale che assicura la massima qualità in ogni fase di lavorazione. Siamo certi che IBEER e Janus Basket abbiano stretto oggi un’amicizia che andrà avanti a lungo nel tempo, visto che hanno molti punti in comune: valori come la genuinità e la correttezza, voglia di vincere e la qualità delle risorse.“
Come partecipare al contest social per la realizzazione della birra ufficiale della Janus Fabriano?
Come annunciato in precedenza, i tifosi saranno i protagonisti della creazione di questa birra che vestirà i colori della Janus Fabriano! A partire dalle ore 12:00 di giovedì 19 Novembre 2020, sarà possibile per ciascun appassionato indicare il nome che suggerisce di dare alla nuova birra. Il modo per farlo sarà tramite le stories Instagram che saranno pubblicate nel profilo ufficiale della società. Tale possibilità resterà aperta per 2 giorni, ovvero fino alle 12:00 di sabato 21 Novembre 2020, quando non sarà più possibile interagire con la storia.
Successivamente, il team marketing della Janus selezionerà gli 8 nomi più interessanti che saranno votati dagli stessi tifosi nei giorni seguenti, sempre tramite stories. All’ideatore del nome vincitore del contest social verrà consegnata una delle due bottiglie di birra realizzate in edizione limita: la prima e la seconda prodotte.
L’azienda IBEER ha inoltre deciso di omaggiare il vincitore con un premio speciale: un box con una selezione dei propri prodotti.
Una volta deciso il nome, il processo si ripeterà per l’etichetta nelle modalità e nei tempi che verranno indicati in una seconda fase.
Chi beve Baladin, lo sa bene! Il rinomato birrificio di Piozzo (CN), noto per le sue birre che da sempre esaltano con classe e originalità il territorio italiano, non smentisce mai la grande qualità e abilità nel realizzare prodotti assolutamente unici e incredibilmente particolari. E’ il caso della Nöel Chocolat, la birra di Natale Baladin, che nella sua nobile struttura racchiude le qualità organolettiche del cacao Criollo, nella rara e aromatica varietà Chuao di casa Domori.
Vestita di un colore marrone carico, si accompagna a un cappello di schiuma beige compatto e persistente. Al naso richiama abilmente le note di cioccolato, ben bilanciate dai sentori di torrefatto e frutta secca.
In bocca non si discosta molto dalle percezioni olfattive, regalando così delle piacevoli sensazioni di cacao, equilibrate dagli accenni tostati dei malti. Tutti ingredienti che, nella Nöel Chocolat Baladin, richiamano la tradizione e il sapore complesso delle birre di Natale. Un richiamo che, oltre all’utilizzo dei pregiati cereali, si arricchisce degli eleganti e raffinati sentori del cacao Criollo, nella rara varietà Chuao, di casa Domori.
Domori: l’arte del cioccolato pregiato
Domori, fondata a Torino nel 1997 da Gianluca Franzoni, rappresenta una realtà d’eccellenza nel mondo del cioccolato super premium. Ambasciatrice di una nuova e rivoluzionaria cultura del cacao, l’iniziativa piemontese incentra da sempre il proprio lavoro sulla ricerca della qualità e della purezza della materia prima.
Domori è stata la prima azienda di cioccolato a impiegare solo cacao fine di alta qualità. La prima a produrre un cioccolato con cacao Criollo (il più raro al mondo) secondo l’antica e semplice formula esclusivamente composta da pasta di cacao e zucchero, nonché la prima realtà italiana a permettere il recupero in campo della biodiversità di questo pregiato dono della natura.
La Nöel Chocolat Baladin, celebrando il Natale, propone l’incontro perfetto tra il mondo del malto e del cacao, regalando con una birra sensazioni gustative uniche. Una Christmas Beer dunque speciale e complessa, particolarmente indicata per esaltare la tradizione dolciaria natalizia con portate a base d’arancia oppure col classico panettone.
Birra Menabrea è parte della storia birraia italiana. Una storia fatta di cuore, passione, qualità e tecnica che da oltre 170 anni conserva intatto il segreto del “saper fare bene”. Una peculiarità che ha caratterizzato l’intero percorso della realtà ultracentenaria di “G Menabrea e figli“, proseguendo tutt’oggi, tra l’impiego magistrale di malti pregiati e spezie speciali, anche attraverso la nuova Christmas Beer, che celebra la meravigliosa magia del Natale.
La Christmas Beer del birrificio biellese “G Menabrea e figli” è una birra speciale, di colore rosso e dal tenore alcolico piuttosto contenuto. Si tratta di una proposta a cui Casa Menabrea conferisce una spiccata nota aromatizzata, ottenuta grazie all’impiego dei migliori malti in commercio, che disegnano così un particolare carattere elegante e complesso, tipico nella tradizione delle Christmas Beer.
L’amaro del luppolo, decisamente accentuato, affiancandosi ai sapori raffinati del malto, sviluppa in questa birra un delicato equilibrio. Un bilanciamento sostenuto anche dal corpo leggero, che insieme alla particolare bollicina, aiuta ad armonizzare la bevuta, rendendo di fatto la complessità della Christmas Beer del “G Menabrea e figli” più semplice da interpretare.
G Menabrea e figli: Il birrificio attivo più antico d’Italia
Fondata nel 1846 dal sig. Welf di Gressoney e dai fratelli Antonio e Gian Battista Caraccio, nel 1854 la birreria viene affittata a Giuseppe Menabrea e Antonio Zimmermann. Successivamente i due soci l’acquisteranno nel 1864. A seguito dell’uscita di Zimmermann dalla società, sarà proprio Giuseppe Menabrea a costituire, il 6 luglio 1872, la “G Menabrea e figli”.
Oggi l’antico progetto del fondatore di Menabrea è abilmente portato avanti da Franco Thedy, quinto discendente della famiglia. La sua visione aziendale ha giovato particolarmente alla gestione del birrificio attivo più antico d’Italia, attribuendogli innovazione, tecnologia e autorevolezza.
La Christmas Beer, disponibile da fine Novembre e fino a esaurimento scorte, potrà essere consegnata anche direttamente a domicilio dai distributori Menabrea.
Purtroppo il Covid-19 continua imperterrito a fare danni! La birra e i settori direttamente collegati a essa, in questi lunghi e difficoltosi mesi, hanno subito non pochi disagi e, se in Italia si è cercato in qualche modo di mettere una pezza, oltreoceano si apprende una notizia che rattrista tutto il panorama birraio internazionale. Shelton Brothers, il più autorevole importatore americano di birre belghe ed europee, dovrà chiudere la sua attività per fallimento.
Shelton Brothers, fondata nel 1996 dai fratelli Dan, Joel e Will Shelton, nel corso degli anni si è contraddistinta per aver importato oltre 150 marchi tra le birre più rinomate al mondo, includendo nomi come Cantillon, Drie Fonteinen, Fantôme, De La Senne. Tuttavia il 2020 ha segnato la fine di questo grande impero, in cui lo stesso importatore afferma di essere costretto alla liquidazione dalla propria banca.
Come riporta Good Beer Hunting, Shelton attribuisce il deficit dell’azienda al disastro economico causato al Covid-19. Infatti prima dello scompiglio del virus, bar e ristoranti procuravano il 50% delle vendite aziendali. Tuttavia, quando la maggior parte di questi ha dovuto chiudere per la pandemia, i ricavi sono letteralmente andati in malora.
In aggiunta alla situazione già difficoltosa per l’azienda di Belchertown, Massachusetts, si presenta anche la condanna di $ 2,1 milioni da pagare al River North di Chicago per una causa sui diritti di distribuzione risalenti al 2011.
“La società deve soldi alla Berkshire Bank, ai birrifici e ai venditori – afferma Dan Shelton, della Shelton Brothers -. Le nostre vendite da febbraio a marzo sono andate a male. E intendo dire davvero male. A marzo abbiamo realizzato il 15% di quello che avevamo fatto l’anno precedente“.
“Il virus – continua Shelton – ha completamente ucciso l’attività dei locali, che è dove le persone sono più propensi a provare la vasta gamma di birre. Ora le cose stanno migliorando, ma non abbastanza velocemente per la banca. E noi non possiamo trovarne un’altra“.
Malauguratamente dopo 24 anni e dopo aver dato la possibilità agli americani di sperimentare le origini e l’essenza della birra, il grande importatore americano cesserà di esistere. Una storia, quella di Shelton Brothers, purtroppo non a lieto fine!
L’economia italiana si trova in un momento decisamente catastrofico. Il Covid-19 ha bloccato tutto e il sostegno politico rimane l’unica ancora di salvezza. Tra i settori colpiti dal disastro pandemico, la filiera della birra non è stata di certo risparmiata, e l’aiuto istituzionale sarebbe una provvidenziale boccata d’aria. Il Governo dunque si è focalizzato sul Decreto Ristori, entrato in vigore lo scorso 27 ottobre, generando purtroppo non poche perplessità. Infatti nonostante il coinvolgimento di pub e locali, il provvedimento ha completamente escluso i birrifici. E’ vero comunque che non sono stati obbligati a chiudere! Ma se da un lato i birrifici continuano a lavorare, dall’altro il blocco dell’Ho.Re.Ca. ha pesantemente influito sugli introiti. Un dettaglio non indifferente a cui il Governo non ha praticamente pensato. Ebbene Unionbirrai non è rimasta a guardare e finalmente oggi, col Decreto Ristori Bis, possiamo affermare che qualcosa per i birrifici italiani si è mosso!
Le novità del Decreto Ristori Bis
Il decreto-legge 149/2020 alias Decreto Ristori Bis, in vigore dallo scorso 9 Novembre, è l’ulteriore manovra del Governo da 2,8 miliardi di Euro a favore delle aziende operanti nelle zone maggiormente colpite dall’emergenza sanitaria. Un provvedimento che stanzierà ben 340 milioni di Euro a favore di filiere agricole, della pesca e dell’acquacultura!
“Nel consiglio dei ministri col Decreto Ristori 2 – dichiaraTeresa Bellanova, Ministra dell’Agricoltura – abbiamo stanziato ulteriori 340 milioni di euro per garantire, anche per il mese di dicembre, l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali e assistenziali delle imprese, operanti su tutto il territorio nazionale e appartenenti alle filiere agricole, della pesca e dell’acquacoltura, comprese le aziende produttrici di vino e birra. In questa fase così difficile il sostegno alla filiera della vita, alle imprese, alle lavoratrici e ai lavoratori che vi sono impegnati è imprescindibile“.
Un risultato ottenuto grazie anche all’intenso lavoro di Unionbirrai, che nei giorni successivi al Decreto Ristori ha spiegato alle istituzioni la complessa situazione dei birrifici artigianali italiani.
“Dopo una settimana di intenso lavoro presso i Ministeri interessati – dichiara Unionbirrai sulla pagina Facebook – , al fine di rappresentare le istanze dei Piccoli Produttori Indipendenti di Birra Artigianale, oggi possiamo comunicare l’apertura di un tavolo di discussione propositivo circa l’inserimento del codice Ateco 11.05.00, ovvero produzione birra, fra le attività beneficiarie del contributo a fondo perduto previsto all’art.1 del D.L. 28/10/2020 n. 137 ‘Decreto Ristori’. In attesa degli sviluppi, vogliamo ringraziare tutti i nostri soci che hanno compilato il questionario in merito al quadro reale delle perdite causate dal DPCM del 24 Ottobre 2020, e tutti gli appassionati che tramite il loro sostegno manifestato sui nostri canali social, nelle proposte commerciali, nelle abitudini di consumo, ci forniscono da tempo una concreta rappresentazione del nostro slogan #unitisivince per la #rivoluzionenelbicchiere“.
L’analcolica della Guinness 0.0 lanciata solo qualche settimana fa nel Regno Unito, in lattine da 440 ml, viene ritirata dalla vendita per una possibile contaminazione microbiologica durante il processo di produzione! E’ quanto annuncia il colosso di birra irlandese fondato a Dublino nel 1759 da Arthur Guinness.
La notizia si apprende da un Tweet inviato direttamente Guinness GB.
As a precaution we are recalling Guinness 0.0 in Great Britain due to a contamination which may make some cans unsafe to drink. This only relates to Guinness 0.0. Do not consume & return to store or contact [email protected]/0345 601 4558 for a refund. pic.twitter.com/G06fmckShb
“Per precauzione, stiamo richiamando Guinness 0.0 in Gran Bretagna a causa di una contaminazione che potrebbe rendere alcune lattine non sicure da bere“. Nel messaggio si legge che il probabile pericolo è circoscritto solo alla Guinness 0.0 e non riguarda le altre produzioni della casa irlandese.
Inoltre la stessa Guinness, esortando i clienti non consumare la birra, invita gli stessi a contattare l’azienda ([email protected]/0345 601 4558) per restituire le lattine e ottenere un rimborso.
Come altri birrifici, anche Guinness aveva intrapreso la strada della birra analcolica, settore birraio recentemente rivalutato. Si tratta di una tecnica che, conservando gli ingredienti originali, incrementa nella produzione la rimozione dell’alcol attraverso una tecnica di filtrazione a freddo.
Il risultato di questa tecnica è una birra ipocalorica con solo 16 calorie per 10 cl di bevanda, a differenza delle 37 cal della produzione tradizionale. Messa in vendita il mese scorso in Inghilterra, Scozia e Galles, alla fine del 2021 era destinata al mercato mondiale.
“Ci dispiace che sia successo – si legge sul sito Guinness – Stiamo lavorando duramente per riportare Guinness 0.0 sugli scaffali il prima possibile. La produzione riprenderà solo quando saremo completamente soddisfatti di aver eliminato la causa principale del problema e che il prodotto soddisfi i più elevati standard di qualità che noi e i nostri bevitori di Guinness ci aspettiamo“.
Fare birra in casa può portare a risultati eccezionali, con realizzazioni dalle caratteristiche organolettiche uniche. Però facendo birra tra i fornelli di casa l’imprevisto, che inizia dal Mash e termina alla maturazione delle bottiglie, rimane sempre dietro l’angolo. Naturalmente le accortezze adottate dagli homebrewers sono tante, ma nonostante ciò c’è sempre qualcosa che sfugge immancabilmente al controllo. Un esempio potrebbe verificarsi dopo il travaso nel fermentatore, in cui le redini del comando passano al lievito inoculato che dovrà convertire il mosto in birra. In questo passaggio il birraio può fare davvero poco, se non controllare la temperatura per favorire il corretto lavoro del lievito. Tuttavia prima dell’inoculo esiste un altro piccolo accorgimento che potrebbe garantire una fermentazione ottimale e senza grosse complicazioni, specie con densità piuttosto elevate. Mi riferisco allo starter del lievito! Ma come fare uno starter del lievito e quali accortezze avere durante la preparazione e l’inoculo?
A grandi linee si può dire che lo starter (trovi maggiori informazioni cliccando sull’articolo dedicato) è una piccola quantità di lievito fermentato, realizzata generalmente prima dell’inoculazione, che aumenta e migliora il numero complessivo di cellule di lievito.
Eseguendo questa procedura, si andrà ad agevolare il lavoro del lievito e favorire la fermentazione specie di fronte a un mosto dalla densità particolarmente elevata. Tuttavia la preparazione di uno starter si può effettuare se un lievito è prossimo alla scadenza, in caso di fermentazioni lager o temperature inferiori ai 18 °C oppure semplicemente per velocizzare l’avvio della fermentazione.
Tuttavia va precisato che, nonostante i vantaggi a beneficio del lievito e della fermentazione, fare uno starter comporta anche una notevole quantità di rischi, tra tutti il pericolo di contaminare il mosto. A tale proposito prima di accingersi ad applicare questa procedura alla nostra birra fatta in casa, bisogna valutarne l’effettiva necessità e praticare la dovuta sanificazione dei componenti che entreranno a contatto con il preparato e il mosto.
Un’altra importante riflessione da compiere è la reale valutazione del tipo di lievito da impiegare, in particolare se l’effettivo costo della materia prima può incidere significativamente sul budget della cotta. I lieviti liquidi sono costosi, per cui preparare uno starter con questo ingrediente, nonostante il possibile rischio d’infezione, potrebbe avere un senso. Tutt’altra storia è invece con i lieviti secchi e alte densità di mosto, in quanto essendo economicamente abbordabili, basterebbe semplicemente inoculare due bustine evitando di conseguenza possibili pericoli d’infezioni.
Dopo aver capito che cosa sia lo starter del lievito e perché si utilizza, ma soprattutto dopo aver preso effettiva coscienza dei rischi a cui si può potenzialmente incorrere, vediamo come prepararne uno. L’occorrente necessario per realizzare uno starter del lievito è:
Beuta. Per mosti fino a 23 litri consiglio una capienza da 2000 o 3000 ml;
Foglio di alluminio o tappo con gorgogliatore.
N.B.:La beuta in questa preparazione è l’ideale, in quanto si può utilizzare sia per bollire che per raffreddare il mini-mosto. Inoltre l’impiego della beuta eviterà la sanitizzazione della stessa. Questo è possibile grazie al calore di bollitura che garantirà una sanitizzazione perfetta. Tuttavia questo accessorio può essere tranquillamente sostituito da un pentolino e un contenitore accuratamente sanitizzato (es. bottiglia o barattolo di vetro).
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In questo procedimento verranno descritti i passaggi per realizzare uno starter da utilizzare per fermentare 23 l di birra.
In una beuta o in un pentolino versare 500 ml di acqua e sciogliere 70 g di estratto di malto secco;
Posizionare il recipiente sul fuoco e avviare una bollitura di 10 min;
Terminata la bollitura è necessario coprire l’imboccatura della beuta con un pezzetto di alluminio per evitare possibili contaminazioni e lasciare raffreddare il composto in modo naturale. Evitare d’immergere la beuta calda in acqua fredda, in quanto potrebbe lesionarsi. La temperatura del mini-mosto dovrà arrivare a circa 20 °C;
N.B.: Utilizzando il pentolino, al termine della bollitura, coprire con un coperchio. Al fine di velocizzare il processo di raffreddamento, si potrà immergere la pentola in acqua fredda.
A raffreddamento ultimato, travasare il mosto dalla pentola in un contenitore (bottiglia o barattolo di vetro) accuratamente sanificato.
Al temperatura adeguata inoculare il lievito e posizionare sull’imboccatura del contenitore un pezzo di alluminio (stretto quel tanto che basta per permettere la fuoriuscita di CO2 ed evitare l’intrusione di polvere) o un tappo con gorgogliatore;
Agitare leggermente per favorire l’ossigenazione del lievito;
Attendere la riproduzione cellulare del lievito per 48 ore a temperatura ambiente. Inoltre (se non si utilizza un agitatore magnetico) in questo arco temporale è consigliabile di tanto in tanto dare un leggero movimento al mosto per ossigenarlo, la struttura cellulare delle nuove cellule di lievito verrà notevolmente rinforzata;
Al termine delle 48 ore, lo starter potrà essere inoculato nel fermentatore.
N.B.: Il mosto ottenuto con queste proporzioni dovrebbe avere una densità OG di 1.030-1.040. Questa densità è fondamentale per favorire esclusivamente la formazione del lievito, evitando di fatto la fase tumultuosa della fermentazione e la conseguente formazione di alcol, estremamente dannoso per le cellule di lievito.
Durante il periodo in cui si esegue lo starter nella beuta o nel contenitore non si vedranno grossi cambiamenti, anche se all’interno sta avvenendo la riproduzione cellulare del lievito. Tuttavia dopo le 48 ore, lo starter dovrebbe presentarsi con due stratificazioni ben visibili:
La parte solida sul fondo, generalmente di colore biancastro, in cui sono presenti i lieviti depositati. Questi sono fondamentali per l’avvio della fermentazione, per cui vanno inoculati interamente nel fermentatore;
La parte liquida in sospensione, composta dal mosto precedentemente utilizzato per nutrire il lievito. Questo strato, in starter più grandi, generalmente va eliminato per il 70-80% al fine di evitare l’alterazione del volume finale del mosto nel fermentatore. La percentuale rimanente invece si utilizza per favorire la diluizione della parte solida, in modo da poterla inoculare agevolmente nel fermentatore.
N.B.:Nel caso di questo starter, preparato con le dosi riportate, non è necessario eliminare la parte liquida, in quanto influenzerà relativamente poco il volume finale nel fermentatore.
Si tratta di un dubbio piuttosto ricorrente tra gli Homebrewers! Infatti risulta estremamente difficile stabilire l’esatto quantitativo di starter sufficiente ad avviare la fermentazione, in quanto non si conosce l’esatto numero di cellule di lievito presenti in esso. Questo va in contrasto ovviamente con gli innumerevoli calcolatori presenti in rete, che tendono a restituire numeri decisamente orientativi. L’unico reale modo di verificare la concentrazione esatta di cellule, prima e dopo lo starter, è il laboratorio!
A tale proposito sconsiglio di affidarsi unicamente alle stime trovate in rete, in quanto aggiungono incertezza su incertezza. Il consiglio che posso dare in questi casi è sempre quello di abbondare con le dosi di starter, in quanto l’overpitching (inoculo di un quantitativo di cellule maggiore rispetto a quello ottimale) è molto meno problematico rispetto all’underpitching (inoculo di cellule inferiore rispetto al numero ottimale).
Solitamente lo starter si produce per una fermentazione che dovrà avvenire a breve. Ma se decido di fare uno starter del lievito e inocularlo dopo 7 o 15 giorni, sarà ugualmente valido? Per rispondere scientificamente a questa domanda servono strumenti da laboratorio che solitamente non si dispongono tra le mura domestiche.
Infatti una volta che la riproduzione cellulare termina, inizia il naturale decadimento delle cellule di lievito. Il rischio di lasciare troppo tempo lo starter in frigo è quello di vanificare l’effetto stesso dello starter, ritrovandosi di conseguenza a inoculare nel fermentatore cellule non più vitali. Per cui meglio utilizzarlo il prima possibile!
BrewDog si conferma ufficialmente il primo birrificio al mondo con zero emissioni di carbonio. Una qualifica ottenuta grazie all’innovativo progetto d’impresa, derivante dall’imminente bisogno del pianeta di essere assolutamente tutelato. Si tratta di una trasformazione imponente che, attraverso l’investimento d’ingenti somme di denaro e il rimodernamento di un intero sistema di produzione e distribuzione obsoleto e decisamente poco green, è riuscita a dare nuova aria alla nostra amata Terra. Tutto ciò naturalmente è degno di essere celebrato, e quale miglior modo di celebrare quest’impresa monumentale se non realizzando una nuova birra? Nasce così la Double or Nothing, l’IPA BrewDog dedicata a tutti coloro che hanno reso possibile il Carbon Negative!
Double or Nothing è la nuova IPA velata di marshmallow e ananas del birrificio di Ellon. Si tratta di una birra il cui nome non un caso. Infatti in pieno stile BrewDog, l’eccentrico birrificio scozzese comunica il raddoppio delle loro emissioni compensate, denominando così ironicamente questa birra.
Tuttavia non si tratta solo di un particolare modo di comunicare l’entusiasmante traguardo green raggiungo dalla BrewDog, ma di un grande tributo a tutti coloro che hanno reso possibile questo risultato. E’ un ringraziamento dedicato al supporto fornito e alla grande fiducia riposta in un sogno da parte degli Equity for Punks, i diretti sostenitori della campagna Brewdog.
La nuova IPA, destinata esclusivamente agli Equity for Punks, si potrà avere in modo del tutto gratuito. Il birrificio scozzese infatti regalerà agli EfP che ne faranno richiesta una confezione da 4. Quest’ultimi dovranno pensare solo alle spese di spedizione, mentre al resto ci penserà BrewDog!
Per averla basterà accedere al proprio account e aggiungerla direttamente al Carrello. Attenzione però, l’offerta riservata agli Equity for Punks è limitata a una confezione per cliente e fino a esaurimento scorte.
L’Italia è un paese meraviglioso. Tuttavia non si capisce bene il motivo per cui molto spesso, nei diversi ambiti di questo territorio, ci si complichi così tanto la vita. Mi verrebbe da puntare un pochino il dito contro le istituzioni che, focalizzate su burocrazia e tassazione, tralasciano la vera essenza delle cose. Un’essenza che spesso non viene nemmeno considerata, ma si trasforma nell’ennesimo pretesto per farci qualche soldo. Arrivo subito al dunque: quante volte è capitato di sentire l’espressione birra doppio malto? Ebbene, forse qualcuno adesso si potrebbe destabilizzare un pochino, ma la birra doppio malto non esiste o meglio non rientra in nessuna tipologia birraia internazionale! Tuttavia, in Italia, questa denominazione rimane comunemente in uso, ma per quale motivo?
La mera definizione della birra doppio malto
Il termine “birra doppio malto” trova fondamento nella legge n°1354 del 1962, Disciplina igienica della produzione del commercio della birra. Una norma successivamente aggiornata nel 2016, che individua e regola sul territorio italiano 5 tipi di birra. Queste birre non sono distinte secondo lo stile, il colore e gli aspetti organolettici che oggigiorno siamo soliti definire nella bevanda, ma sono classificate in base al grado Plato, ovvero secondo la percentuale dello zucchero presente nel mosto, e alla percentuale alcolica.
La citata legge specifica la denominazione di birra:
“analcolica“, riservata al prodotto con grado Plato non inferiore a 3 e non superiore a 8, con titolo alcolometrico volumico non superiore a 1,2%;
“leggera o light“, riservata al prodotto con grado Plato non inferiore a 5 e non superiore a 10,5, con titolo alcolometrico volumico superiore a 1,2% e non superiore a 3,5%;
“normale“, riservata al prodotto con grado Plato superiore a 10,5 e titolo alcolometrico volumico superiore a 3,5%. Tale prodotto può essere successivamente suddiviso in:
“birra speciale” se il grado Plato non è inferiore a 12,5;
“birra doppio malto” se il grado Plato non è inferiore a 14,5.
Considerando il criterio con cui sono definite queste birre, s’intuisce come la norma in questione non tenga assolutamente conto dello stile, del colore o di altri fattori specifici della bevanda. Essa per l’appunto determina solo e soltanto un range di tassazione a cui la birra dovrà sottostare.
Difatti a birre più robuste corrisponde una tassazione più alta, di conseguenza una birra doppio malto, avendo un grado alcolico superiore ai 3,5% e un grado Plato maggiore di 14,5, verrà applicato un peso fiscale tra i più elevati del mercato.
Doppio malto fuori dai confini italiani
Considerando che la legge n°1354 del 1962 si applica solo sul territorio italiano, andare a chiedere una birra doppio malto in un pub estero comporta sicuramente il rischio di farsi deridere un pochino dal publican, in quanto tale dicitura non indica assolutamente nulla.
Infatti tale normativa, applicata in un periodo storico in cui la conoscenza delle birre si limitava a pochi esemplari, dovrebbe assolutamente subire una variazione. E’ impensabile oggi definire una birra in base al grado alcolico o al grado Plato, in quanto il mondo birraio è immenso e sempre in continua evoluzione.
E’ bene infatti sottolineare, specialmente per chi non produce o non conosce il procedimento di produzione della birra, che questa bevanda può avere in ricetta una svariata tipologia di malti. Questi e altri ingredienti (malto, luppolo e lievito), unitamente a tutto il contesto di produzione, determineranno colore, caratteristiche e note organolettiche prestabilite che andranno a definire di conseguenza uno stile birraio ben preciso.
Tuttavia, giusto a scanso di equivoci, esiste un appellativo simile al Doppio Malto italiano, ma con significato assolutamente differente. E’ il caso della doppio malto spagnola, in cui l’appellativo Cerveza Doble Malte indica birre dense e alcoliche dai sapori spiccatamente decisi.
Se poi vogliamo essere ancora più generalisti, possiamo trovare una leggera assonanza con le Double o addirittura le Tripel d’origine belga. Tuttavia in questo caso ci troviamo di fronte a birre di livello completamente differente! Difatti le Double e le Triple belga si riferiscono a stili di birra riconosciuti dal BJCP con una lunga tradizione monastica alle spalle. Una tradizione che, attraverso caratteristiche organolettiche uniche e ricercate, ha trovato l’apprezzamento di estimatori da ogni parte del mondo.