Potrebbe sembrare un paradosso, ma la birra non è esclusivamente il risultato dalla perfetta simbiosi tra malto, luppolo e lievito. Questo prodotto infatti, figlio del tempo e degli equilibri naturali, è spesso sinonimo di storia, tradizione, territorio e talvolta opportunità.
In diverse circostanze, per l’appunto, questa bevanda mai scontata è stata e continua ad essere uno strumento di riscoperta e valorizzazione sia di terre che di uomini, i quali trovano nella birra la giusta chiave per manifestare le proprie virtù. Ed è proprio quello che stiamo continuando ad appurare dal nostro viaggio alla scoperta della buona birra artigianale in giro per l’Italia.
Ci troviamo in Sicilia, precisamente a Cesarò, comune della città metropolitana di Messina. In questo territorio esteso tra il versante settentrionale e meridionale del Parco Naturale dei Nebrodi, dove ricade il tratto più suggestivo della catena montuosa siciliana, nasce il Birrificio Accussí.
Un progetto generato dalla determinazione e dalla profonda fiducia che lega un uomo – Nino Lo Paro, ex homebrewer e fondatore dell’Accussí – alla propria terra. Noi lo abbiamo intervistato, e gli abbiamo chiesto com’è nata e com’è progredita questa realtà birraia artigianale italiana tra la natura dei Nebrodi.
Birrificio Artigianale Accussí: L’intervista!
Come nasce l’idea del Birrificio Accussí? Raccontaci la tua storia!
Il Birrificio Artigianale Accussí situato a Cesarò (ME), piccolo comune del Parco dei Nebrodi, nasce nel 2020. La storia comincia appunto “Accussí” (nel dialetto siciliano significa così), dall’Homebrewing ovvero dal fare birra in casa.
Trentenne siciliano e Tecnico Birraio, dopo l’esperienza accumulata per anni all’interno di un birrificio artigianale, i diversi corsi ed eventi brassicoli e i risultati dei vari test amatoriali, col sostegno sia di mio padre che di mio fratello, ma soprattutto con l’immensa voglia nel cuore di restare e investire nella mia terra, inizio l’avventura imprenditoriale della birra “Accussí”.
Quali birre proponi e cosa c’è dietro la loro realizzazione?
Nel birrificio, la produzione avviene utilizzando solo prodotti naturali di altissima qualità, come malto d’orzo, luppolo e acqua proveniente da sorgenti siciliane, escludendo l’utilizzo di qualsiasi prodotto chimico e seguendo un processo di alta fermentazione senza effettuare filtrazione e pastorizzazione. Considerando la situazione attuale proponiamo due tipologie di Birre.
Abbiamo la Blonde Ale, una birra artigianale bionda da 5,2 %vol, ad alta fermentazione, non filtrata, non pastorizzata, rifermentata in bottiglia, senza conservanti e additivi, che forma sul fondo un naturale sedimento come segno della sua genuinità. Si tratta di una birra elegante, che si esprime nel bicchiere con aromi caratterizzati dai luppoli nobili. La componente maltata, inoltre, e il prestigioso compito dei lieviti perfezionano ulteriormente il set aromatico, con preponderanti sentori floreali e fruttati. Dal sapore brillante e amabile, si sposa con antipasti, pizza, secondi di pesce, ecc.
Produciamo anche la Strong Ale Luí, una birra artigianale ambrata da 7,1 %vol dedicata a mio padre Luigi (per tale motivo Luí). Mio padre mi ha aiutato sia economicamente che strutturalmente nella realizzazione del birrificio, e tutt’oggi mi affianca a ogni passo della produzione. Si tratta di una birra speciale, che al palato offre una bevuta decisamente delicata, grazie all’impiego dell’antico grano Maiorca e al miele di Sulla d’api siciliane.
Risulta particolarmente corposa e dal carattere distinto, frutto di un magistrale aroma moderato di caramello, mentre i luppoli impiegati disegnano note di agrumi in un connubio perfetto con i malti tostati utilizzati. Grazie a queste caratteristiche, la Luí si abbina piacevolmente a carni rosse alla griglia, primi piatti, salumi e formaggi stagionati.
Tra le diverse birre, quel è la tua preferita e perché?
Tra le birre in commercio sono un amante delle Ipa, perché oltre alla sua schiuma color crema, compatta e mediamente persistente, ma di ridotte dimensioni, quel retrogusto astringente originato dal luppolo mi fa impazzire. Per tale motivo a breve abbiamo intenzione di crearne proprio una dal carattere tutto siciliano.
Mentre tra le tipologie che produciamo al birrificio Accussí, la mia preferita è senza dubbio la Strong Ale Luí. Una preferenza fondata non solo sul legame affettivo che rappresenta personalmente, ma anche dalla profonda espressione territoriale che comunica, grazie all’impiego del pregiato Miele di Sulla d’api siciliane.
Quanto contano i fattori tradizione e territorialità nei tuoi prodotti?
Nel birrificio artigianale Accussí la tradizione e la valorizzazione del territorio sono prerogative d’obbligo in tutti i nostri prodotti. Infatti, tra le caratteristiche che fanno la differenza con le altre birre in commercio, c’è sicuramente l’utilizzo di acqua proveniente esclusivamente dalle nostre sorgenti siciliane e soprattutto l’aver fatto sposare malti tostati con un grano antico siciliano, come il raro Maiorca che impieghiamo nella nostra Strong Ale Luí.
Sappiamo che il Covid ha colpito duramente il settore birraio, ma gli appassionati della buona birra continuano ad apprezzarla forse più di prima. Quali novità hai in mente?
Il Covid ci ha colpito duramente, anche perché la nostra prima birra fu pronta proprio il 9 marzo 2020, ovvero la data del primo lockdown. Tuttavia il birrificio artigianale Accussí si è difeso abbastanza bene, grazie ai social e alle spedizioni in tutt’Italia. Ad oggi i clienti apprezzano tantissimo i nostri prodotti, per tale motivo abbiamo intenzione di realizzare tante altre tipologie di birre, tutte ovviamente dal carattere unico e siciliano.
Ringraziamo per la gentile disponibilità Nino Lo Paro. Potrete trovare maggiori informazioni sul Birrificio Artigianale Accussí e le sue birre sulla pagina Facebook ufficiale.
Dalla storia ricca e particolarmente affascinante, la birra è stata per secoli considerata un elisir dalle mille proprietà benefiche. Nel tempo ovviamente questa bevanda si è modificata e la tecnologia ha contribuito ad affinare sapori, aromi e colori. Ma si modifica anche la reputazione di questo prodotto, rappresentando a tutti gli effetti il simbolo per eccellenza della convivialità e della spensieratezza nella contemporaneità.
Si tratta per l’appunto di un elemento imprescindibile sia delle tremende giornate afose dell’estate, che delle serate di relax e raccoglimento tra amici e conoscenti. Eppure, nonostante sia tra le bevande più amate di sempre, la birra è spesso oggetto di tante perplessità.
Esiste infatti, chi sostiene che faccia bene, chi ribadisce che faccia male e chi la classifica come una bevanda altamente calorica e che quindi faccia ingrassare tantissimo. Tuttavia, nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta solo di pensieri e parole dette un po’ a caso, ma i dubbi comunque sono parecchi e permangono. Quale sarà la verità su questa bevanda? Quanta birra si può bere al giorno? Il suo consumo può seriamente compromettere la salute? Vediamo, come sempre, di fare un po’ di luce!
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La birra fa male?
Iniziamo subito col dire che, bere una quantità smisurata di birra, non fa bene alla salute! Questa purtroppo è la cruda e scomoda verità che tante volte viene omessa o semplicemente raccontata a metà. Ma vediamo di capire il motivo per cui l’eccessivo consumo di questa bevanda è vivamente sconsigliato.
La birra, nonostante le proprietà tanto decantate, è una bevanda alcolica e pertanto non certamente indispensabile al corpo umano. La causa sta proprio nella presenza di etanolo che, nell’abuso, può essere responsabile di gravi alterazioni strutturali del sistema nervoso, con l’insorgenza di disturbi cardiaci e vascolari.
L’abuso di alcol, per di più, va a compromettere le regolari funzioni epatiche (il fegato è l’organo che ha il compito di metabolizzare l’etanolo) e pancreatiche. Provoca inoltre problemi a livello sessuale, con calo della libido, infertilità e impotenza, oltre che alterare le funzioni del sistema digerente e immunitario. Mentre durante la gravidanza, l’alcol è altamente sconsigliato, non tanto per la salute della madre, quanto per quella del feto. L’etanolo infatti potrebbe causare malformazioni fetali, oltre che incentivare la possibile tendenza, in età adulta, al consumo di alcolici.
Va tuttavia ricordato (per onor del vero) che, come per ogni eccesso, i disturbi sopracitati riguardano principalmente l’abuso e quindi non certamente attribuibili a un consumo sporadico o moderato della birra.
Quanta birra si può bere al giorno?
Dopo aver appurato quali sono i reali disturbi e i pericoli legati all’eccessivo consumo di alcol, cerchiamo di capire effettivamente quanta birra si può bere al giorno, senza che quest’ultima risulti particolarmente dannosa all’organismo.
La dose giornaliera che mette d’accordo un po’ tutti i nutrizionisti, variabile ovviamente all’età e allo stato di salute del consumatore, si attesta tra i 300 e i 400 ml di birra. In tali dosi la birra si rivelerebbe addirittura benefica, grazie agli ingredienti con cui viene realizzata, i quali apportano preziose vitamine del gruppo B, sali minerali, zuccheri, sostanze azotate, tannini, destrine e acidi derivanti da malto e luppolo.
Va detto però, che la birra possiede anche un certo tenore energetico, compreso (per birre con gradazione alcolica mediamente di 5 %vol) tra 30 e 60 kcal per 100 ml (le calorie aumentano all’aumentare del grado alcolico). Un valore calorico che, a differenza del vino o altri super alcolici, non deriva esclusivamente dall’alcol (prodotto dal lievito durante la fermentazione), ma si compone anche da destrine e sostanze proteiche (tra cui gli otto amminoacidi essenziali) caratterizzanti la birra.
Quindi, sempre per onor del vero, cosa dire alle correnti che classificano questa bevanda particolarmente grassa? La birra non è una bevanda light! Tuttavia un bicchiere di birra media (5 %vol) contiene meno calorie di altre bevande analcoliche gassate o di un semplice succo di frutta.
E dell’etanolo, in considerazione a quanta birra si può bere al giorno, cosa ne rimane? Secondo il Ministero della Salute, il quale precisa che non esiste un’assunzione di alcol sicura e raccomandabile, il consumo (durante i pasti) è considerato a basso rischio di:
2 unità alcoliche al giorno per l’uomo di età compresa tra i 18 e i 65 anni;
1 unità alcolica per le donne e per le persone con più di 65 anni.
N.B.: Unità alcolica (U.A.) è pari a 12 grammi di alcol puro.La capacità di metabolizzare l’alcol varia in base al genere, all’età e alle condizioni di salute, insieme ad alti fattori individuali. Durante la guida, inoltre, va assolutamente evitato.
In base alle precisazioni del Ministero si denota che, rispetto ad altri alcolici, la birra rientra tra le bevande a minore concentrazione di etanolo. Approssimativamente una lattina di birra da 4,5%vol (330 ml) contiene 12 grammi di alcol puro.Tale concentrazione alcolica è riscontrabile in 125 ml di vino (12°) o in 40 ml di liquore (40°).
Non è solo alcol: Le proprietà benefiche della birra!
Abbiamo parlato degli effetti negativi derivanti dall’abuso di alcol e di quanta birra si può bere al giorno. Tuttavia va detto che, nonostante la gradazione alcolica, la birra è davvero tanto altro. Essa non si contraddistingue esclusivamente per la grande varietà di aromi e sapori, ma anche per le particolari proprietà benefiche che possiede.
La birra si realizza sostanzialmente con quattro ingredienti: acqua, malto, luppolo e lievito. Componenti utilizzati in ogni ricetta e che per questo si considerano “essenziali”. Ebbene, da ognuno di questi ingredienti, la birra acquisisce determinate qualità e proprietà, che rendono questa bevanda unica nel suo genere.
Tali proprietà sono state il fulcro di diversi studi scientifici, dai quali emerge come, in modiche quantità di assunzione, la birra aiuti a ridurre, unitamente a uno stile di vita sano, il rischio di malattie cardiovascolari. Nello specifico questa bevanda consente di preservare le lipoproteine (considerate “il colesterolo buono“), migliorando di fatto la circolazione sanguigna. La presenza di vitamine del gruppo B (derivanti dal malto), per di più, previene l’aumento dell’omocistrina, possibile causa di patologie cardiache, e preserva l’invecchiamento dell’intestino, mentre le fibre solubili dei cereali favoriscono le regolari funzioni digestive.
La birra è utile alla prevenzione del diabete. Questa bevanda, infatti, secondo le ricerche pubblicate sul British Medical Journal, consumata durante i pasti, grazie alla scarsa concentrazione di zuccheri, non influirebbe nell’innalzamento dei livelli di insulina.
Il consumo moderato di birra, inoltre, previene la formazione di calcoli biliari e dell’osteoporosi. Ricerche pubblicate sull’America Journal of Epidemiolog attesterebbero che il basso contenuto di calcio e la significativa presenza di magnesio, siano fattori preventivi contro la formazione di calcoli biliari e renali. A questi benefici si aggiungono anche i principi attivi del luppolo, i quali andrebbero a prevenire il rilascio di calcio dalle ossa.
Il luppolo, per di più , possiede proprietà analgesiche, anti-ossidanti, antidepressive e antinfiammatorie. Inoltre grazie allo Xantumolo(flavonoide), questo fiore è considerato un ottimo rimedio per prevenire gravi malattie, andando a ridurre la formazione di vasi sanguigni difettati, e quindi contrastando la crescita e la diffusione di cellule, che fanno di determinate patologie il loro punto di forza.
Bere birra, in modiche quantità, giova anche nel sesso. Questo grazie alla presenza di fitoestrogeni (estrogeni naturali), che aiutano a combattere problemi di eiaculazione precoce. Inoltre la presenza di ferro in questa bevanda, incentiva la produzione di globuli rossi, favorendo di fatto un’erezione più facile e frequente.
Il consumo? Meglio se birra artigianale di qualità!
Alla luce di quanto detto, la birra è una bevanda particolarmente povera di alcol. Si tratta per l’appunto di un prodotto costituito da una cospicua quantità di acqua (oltre il 90%) e da altri semplici e sani ingredienti come cereali e luppoli.
Grazie a questi componenti, quindi, la birra risulta altamente dissetante e, se bevuta nelle giuste dosi, può apportare determinati benefici al corpo umano. Tuttavia va detto che, nonostante sia un prodotto realizzato sempre dai medesimi elementi, ci sono birre e birre, e alcune si rivelano decisamente migliori di altre.
Naturalmente ci riferiamo alle pregiate birre artigianali, sebbene anche tra i prodotti industriali è possibile reperire qualche esemplare di buona qualità. Ma per quale motivo la birra artigianale, solitamente, è migliore di quella industriale? (Leggi anche l’articolo Birra industriale e artigianale: Bevande simili ma non troppo!)
Una delle differenze più sostanziali che contraddistingue un prodotto industriale da uno artigianale è sicuramente l’attenzione sulla scelta degli ingredienti. Le grandi multinazionali del settore tendono solitamente a ottenere il massimo profitto limitando le spese di produzione. Un dettaglio non da poco, che molto spesso si traduce in una scelta di materie prime qualitativamente inferiori rispetto a quelle impiegate da un birrificio artigianale.
Un’altra diversità, capace di definire una bevuta differente e non standardizzata del prodotto, riguarda la pastorizzazione. Benché si tratti di un processo che incise radicalmente sulle modalità produttive della birra, la pastorizzazione influisce sulla struttura organolettica di questa bevanda considerata per antonomasia “viva“. Viva perché i lieviti presenti in sospensione dopo la fermentazione della bevanda continuano la loro azione anche dopo l’imbottigliamento, affinando di conseguenza gli aromi e i sapori della birra (maturazione).
Al processo di pastorizzazione, nei prodotti industriali si aggiunge anche la microfiltrazione, una pratica con finalità più estetiche che funzionali. Attraverso questa procedura si aumenta la limpidità, migliorando di conseguenza la stabilità strutturale della birra.
Nella birra artigianale, invece, la microfiltrazione non viene praticata, in quanto particelle di lievito e altri componenti residui responsabili talvolta di una certa torbidità, concorrono alla definizione organolettica del prodotto, fornendo di conseguenza una maggiore complessità e profondità a questa splendida bevanda.
Confucio, filoso cinese vissuto fra il 6° e il 5° secolo a.C., diceva: “Fai quello che ami e non lavorerai unsolo giorno della tua vita“. Una frase motivazionale tanto antica quanto attuale, che purtroppo nella contemporaneità perde un po’ del suo profondo significato. Questo perché, in una società caratterizzata da ritmi caotici e veloci, il lavoro (quando c’è) assume più una forma di necessità che di piacere.
Ciò nonostante sognare fa sempre bene e ogni homebrewer, dimenticando almeno una volta la propria quotidianità, ha fantasticato su un futuro fatto di pentole, fermentatori e deliziose degustazione birraie, disegnandosi così un passe-partout per trasformarne la propria passione in professione. Ovviamente non tutti hanno la reale possibilità di realizzare un simile desiderio e il più delle volte rimane un semplice sogno nel cassetto. Tuttavia tra gli homebrewers, qualcuno che riesce nell’impresa esiste davvero!
E’ quello che abbiamo appurato continuando il percorso all’insegna della buona birra artigianale italiana. Siamo nella parte sud-orientale della Calabria, tra Roccella e Locri, dove si estende la splendida Siderno, cittadina dell’area Metropolitana di Reggio Calabria. Qui, nel cuore della Locride, in un contesto contraddistinto da turismo, gastronomia, storia medievale e variopinte tradizioni, nasce il Limen Brewery, una delle realtà birraie più rinomate e apprezzate della regione.
Una realtà estrapolata dalle diverse congetture della vita che hanno segnato il fondatore, Nicola Ferrentino, birraio ed ex homebrewer, a cui abbiamo chiesto di raccontarci com’è nata e com’è progredita l’idea di un birrificio tra le terre dell’antica Magna Grecia.
Limen Brewery: L’intervista!
Come nasce l’idea del Limen Brewery? Raccontaci la tua storia!
La passione per la buona birra artigianale mi spinse presto a cimentarmi tra i fornelli di casa. Nasco dunque come homebrewer e dopo qualche anno di cotte casalinghe inizio ad acquisire una certa esperienza. All’epoca era solo un hobby, ma spesso le strade della vita ti portano inavvertitamente a rivoluzionare completamente il tuo destino.
Prima di pensare alla birra come un’attività a tempo pieno, lavoravo a Reggio Emilia. Purtroppo però il lavoro finì e mi ritrovai presto in cassa integrazione. Così nel 2012, insieme a mia moglie, decidemmo di prendere la situazione in mano e avviammo l’iter di apertura della nostra attività in Calabria.
Quali birre proponi e cosa c’è dietro la loro realizzazione?
Il ventaglio produttivo del Limen è abbastanza ampio, con diverse Belga dal discreto successo. Tuttavia ben presto ci siamo resi conto che le IPA e le Lager sono il nostro vero punto di forza. Si tratta di birre in cui riusciamo a esprimere sia la nostra bravura che la nostra vera identità.
Grazie a questa affinità, che fondamentalmente ci rispecchia, riceviamo davvero tanti apprezzamenti specie da publican e appassionati di birra artigianale. Questo però non ci fa dormire sugli allori, perché cerchiamo di realizzare costantementeprodotti dagli alti standard qualitativi!
Tra le diverse birre, qual è la tua preferita e perché?
Come anticipato, al Limen Brewery abbiamo diverse birre. La proposta produttiva spazia tra Pale Ale, Yankee IPA, Wit, Jermana (Saison), Keller, Weissbier, Bock, Arzura (American Wheat Ale), Bitter Peel (Session IPA), Neither the Dogs (Pacific IPA) e Fester (Belgian Strong Ale). Tra queste però la mia preferita è di sicuro la Keller!
Si tratta senza dubbio di una birra dal particolare profilo organolettico che, da qualche anno, ci ha regalato davvero tante soddisfazioni!
Quanto contano i fattori tradizione e territorialità nei tuoi prodotti?
La tradizione e la territorialità nelle mie birre sono di sicuro il valore aggiunto! Dove la ricetta lo rende possibile, infatti, ci inserisco sempre qualcosa che rappresenti la vera essenza della Calabria.
Un esempio è il Jermano, una varietà di segale prodotta a Canolo, una zona situata sui contrafforti orientali dell’Aspromonte, sui Dossoni della Melia, dai quali domina la locride. Grazie a questa particolare aggiunta, la nostra Jermana Saison acquisisce, insieme al grano senatore cappelli, gli antichi sapori della Calabria e dell’Aspromonte.
Ma la nostra terra possiede tante altre risorse. Infatti un altro ingrediente riguarda le scorze di Pompelmo Rosa BIO forniti dall’azienda agricola Toraldo, i quali impreziosiscono e ravvivano le note sensoriali della nostra Bitter Peel. Sempre dal meraviglioso Aspromonte abbiamo i pregiati apici di abete bianco, che arricchiscono con gusto ed eleganza l’intero complesso organolettico della nostra Needles (Fir IPA).
Sappiamo che il Covid ha colpito duramente il settore birraio, ma gli appassionati della buona birra continuano ad apprezzarla forse più di prima. Quali novità hai attuato?
E’ vero, il Covid è stato e continua a essere un grosso problema. Tuttavia, essendo un piccolo birrificio, siamo riusciti a sopravvivere, continuando ugualmente a produrre e vendere birra durante il difficile periodo di Lockdown.
Una sopravvivenza garantita anche dal passaggio in lattina per le nostre IPA. Una scelta di sicuro più green e meno dispendiosa, che custodisce integralmente sia la bontà che la qualità delle nostre birre.
Ringraziamo Nicola Ferrentino del Limen Brewery per la gentile disponibilità. Troverete maggiori informazioni sul Limen e le sue birre sulla pagina Facebook ufficiale.
Un dei tanti vantaggi nel degustare una birra artigianale, consiste nella possibilità di constatare la magistrale fantasia con cui il mastro birraio si approccia da sempre a questa particolare bevanda. Parliamo di un legame quasi simbiotico che, ispirandosi alle differenti risorse del territorio, disegna il connubio perfetto tra sapore e tradizione. Un connubio ritrovato anche nel cuore delle Madonie, grazie alla Birra con Cristalli di Manna e Fiori di Frassino.
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La Manna che non cade dal cielo
Ci troviamo nella dorsale montuosa delle Madonie, nella parte settentrionale della splendida Sicilia, precisamente tra Castelbuono e Pollina. In questa zona della provincia di Palermo, caratterizzata da una natura unica e da una storia quasi dimenticata, nasce la Birra Artigianale delle Madonie. Si tratta di una realtà birraia giovane e innovativa che, approcciandosi con grande ammirazione e umile rispetto agli antichi saperi della zona, ripropone e valorizza una risorsa estremamente importante del territorio, ovvero la Manna.
La Manna è un prezioso derivato ottenuto dalla solidificazione della linfa che sgorga, durante la stagione estiva, dalle incisioni praticate sul fusto o sulle branche principali di alcune specie di frassino del genere Fraxinus L. Possiede un’efficacie azione emolliente, per cui trova un largo impiego nei cosmetici con formulazioni per pelli sensibili e anti-age (creme e saponi).
E’ utilizzata inoltre nell’industria dolciaria come dolcificante naturale e poiché il suo componente principale è il D-Mannitolo (alcool esavalente incolore, inodore e di sapore zuccherino), noto anche come “Zucchero di Manna“, potrebbe essere ben tollerata anche dai diabetici.
Tuttavia la Manna, il prezioso simbolo di Castelbuono, non si limita esclusivamente a cosmetici e dolciumi, ma trova una rivisitazione d’impiego anche nella birra. Si tratta della birra con Cristalli di Manna e Fiori di Frassino, una proposta brassicola che, nel suo complesso organolettico, racchiude il particolare concetto di “natura sacra“, in cui uomo e creato possono convivere per secoli rispettandosi e curandosi vicendevolmente.
Birra con Cristalli di Manna e Fiori di Frassino: un miracolo della natura che custodisce un rapporto quasi mistico
E’ dunque la Manna, l’ingrediente che contraddistingue la birra portavoce della tradizione ritrovata nel Parco delle Madonie. Una tradizione antica, fondata sulla resina che sgorga dagli alberi di frassino e che grazie al sole siculo si trasforma in splendide stalattiti bianche.
Tuttavia non si tratta solo di birra, ma di un miracolo della natura, custodito in un rapporto mistico e quasi simbiotico tra l’uomo e l’ambiente. Un rapporto fondato sulla valorizzazione, sulla convivenza e sul rispetto. Importanti peculiarità, dunque, che posso tramutarsi in rinascita e fonte di reddito per chi ha deciso di credere e rimanere nella propria terra.
Ma come nasce l’idea che ci porta a bere la birra con Cristalli di Manna e Fiori di Frassino? Lo abbiamo chiesto direttamente a uno dei Co-fondatori Peppe Genchi, appassionato di birre artigianali e produttore casalingo.
L’intervista
Come si arriva alla riscoperta della Manna di Frassino? “Da circa 20 anni molti giovani hanno ereditato l’arte dell’incisione del frassino dagli anziani. La loro forza è stata l’innovazione della tecnica, che ha portato a un prodotto più puro. Così la manna è diventata un presidio slow food, che oggi è tutelato anche da un consorzio di produttori: il Consorzio Manna Madonita“.
Dalla Manna alla birra: come nasce l’idea? “Da qualche anno mi sono appassionato alla birra artigianale, con la conseguente produzione tra i fornelli di casa. L’incontro con Beppe Cassataro, imprenditore del territorio e cultore della manna, ha fatto scattare la scintilla“.
Oltre alla Manna, quanto conta il fattore territorialità in riferimento a tutti gli altri ingredienti come malto e luppolo per una birra siciliana al 100%? “La nostra Cristalli di Manna e Fiori di Frassino è una birra dall’anima madonita e con il cuore siciliano. La caratteristica che fa la differenza con le altre birre è l’aver fatto sposare malti classici e luppoli europei nobili con il territorio vero. Dal contadino al bicchiere per dissetare le emozioni. La nostra birra, infatti, è un omaggio ai contadini di ieri e di oggi, ai frassinicoltori che dall’800 custodiscono la manna in un rapporto mistico fra uomo e natura“.
Contate di produrre altri stili oltre il Golden Ale? “Si. Vogliamo assolutamente tenere fede al rapporto con i prodotti unici del territorio. Abbiamo già in mente altre tre birre di cui stiamo affinando le ricette. Gli stili? Siamo tentati dalle Bock, dalle Gose, dalle IPA. Proveremo a giocarci, in fondo questo per noi, oltre che una piccola impresa, è anche un grande divertimento“.
Dove si può trovare? “Il nostro territorio, le Madonie, ha accolto benissimo la nostra creatura. Siamo già in varie parti della Sicilia, locali, pub e ristoranti. Ma soprattutto ci potete trovare sul nostro sito, dove è possibile acquistarla e riceverla direttamente a casa“.
Ringraziamo Peppe Genchi per la gentile disponibilità.
Dai saperi ai sapori nel bicchiere: la degustazione!
La Manna, nel palcoscenico birraio, rappresenta una vera e propria rarità. Ogni sorso è un viaggio tra i sapori e le tradizioni uniche di queste terre ricche di frassineti, custoditi all’interno del meraviglioso Parco delle Madonie.
Vestita di giallo paglierino, la velata birra con Cristalli di Manna e Fiori di Frassino è una Golden Ale che regala una generosa schiuma particolarmente bianca a fine tessitura. Nel suo aroma, pulito e delicato, si riscoprono sentori di miele d’acacia e resine boschive, profumi distintivi della manna e del frassino.
Al sorso si percepisce un corpo medio, mentre la bevuta rimane rotonda e arricchita da un amaro particolarmente delicato. Un amaro che nel complesso dona equilibrio al retrogusto della manna, per una degustazione da 5 %vol elegante ed estremamente piacevole.
La birra, come spesso ribadito su questo blog, possiede una storia particolarmente datata e strettamente connessa all’evolversi della civiltà umana. Una storia caratterizzata dalla casualità, dalla scienza e soprattutto dai mastri birrai, autori di vere e proprie opere d’arte sempre più apprezzate nel corso degli anni. Tuttavia la birra non è solo “antichità”, ma anche contemporaneità grazie al miglioramento dei processi di produzione, i quali hanno affinato e innovato sia i profumi che i sapori appartenenti a questa preziosa bevanda.
Va però sottolineato che il progresso non esclude la tradizione, ma ci cammina di pari passo. Questo perché la tradizione, in determinati contesti, viene tutt’oggi gelosamente custodita e tutelata, con metodi di produzione rigidi e “incontaminati” che delineano di fatto una birra del tutto differente.
Uno di questi esempi riguarda proprio la birra trappista, un prodotto derivante dalla ferrea cultura monastica, che da secoli ripropone il gusto autentico di antiche ricette birraie create all’interno di abbazie e monasteri.
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Un po’ di storia…
L’ordine dei Trappisti ebbe origine nel monastero cistercense di Notre-Dame de La Trappe, in Francia. Nel 1664 l’abate di La Trappe, Armand Jean Le Bouthillier de Rancé, reputando troppo liberali i comportamenti dei monaci cistercensi, introdusse una serie di regole più severe da adottare all’interno dell’abbazia.
Impose la pratica del silenzio e il lavoro manuale, eliminò il pesce dal vitto comune, soppresse le ricreazioni e limitò la corrispondenza, generando di fatto un nuovo ordine (detto della “stretta osservanza”). Tra queste rigide disposizioni c’era anche l’obbligo di bere esclusivamente acqua, ma col passare degli anni le regole andarono via via scemando, tanto che nel XIX secolo in diversi monasteri francesi (seguaci della “stretta osservanza”) veniva già realizzata la birra.
Va comunque precisato, che l’ordine dei trappisti non fu l’unico a produrre birra per finanziare il proprio sostentamento, ma sicuramente fu tra i più attivi dell’epoca. Una tesi sostenuta anche dal numero di birrerie trappiste che col tempo iniziò a sorgere. Se ne contavano almeno sei in Francia, sei in Belgio, due nei Paesi Bassi, una in Germania, una in Austria e probabilmente anche in altri paesi.
Purtroppo però, in seguito alla Rivoluzione Francese e alle Guerre Mondiali, la maggior parte di questi monasteri andò distrutta. Tuttavia la popolarità delle birre Trappiste continuò ad aumentare, tanto che numerose birrerie non autorizzate cercarono di sfruttare commercialmente il logo, obbligando i monaci a prendere provvedimenti e a far nascere l’Associazione Trappista Internazionale
Nel corso degli anni il termine “Trappista” ha acquisito parecchia fama, divenendo così un’icona che contraddistingue un particolare tipo di birra. Erroneamente però, in molti associano la birra Trappista a uno stile, perché convinti che rappresenti un comune denominatore di più birre aventi caratteristiche organolettiche simili. In realtà, le caratteristiche esistenti in queste birre non vanno accomunate a uno stile, bensì alle modalità di produzione.
Infatti, per definire tale una birra Trappista (con tanto di logo ufficiale), essa deve rispecchiare scrupolosamente alcune specifiche. L’inosservanza anche di una sola regola, fa si che la birra in questione sia automaticamente esclusa da questa ristretta categoria.
La birra Trappista deve:
Essere prodotta all’interno delle mura di un Monastero Trappista. L’impianto deve trovarsi fisicamente nella struttura;
La supervisione deve spettare unicamente ai monaci. La birra teoricamente può essere prodotta anche da un birraio estraneo all’ordine monacale, ma le direttive devono essere sempre impartite dai monaci;
Non deve sussistere lo scopo di lucro. I proventi derivanti della vendita della birra non devono mai avere lo scopo di arricchire, ma di provvedere esclusivamente al fabbisogno del monastero.
La birra Trappista è uguale a quella d’Abbazia?
Un’altra cavillosa questione, deriva dall’accomunare la birra Trappista a quella d’Abbazia. Tuttavia come riportato in precedenza, la produzione brassicola trappista è caratterizzata da regole molto rigide e l’inosservanza di anche una sola disposizioni non permette alla birra di fregiarsi col logo Authentic Trappist Product (ATP).
Nelle birre d’Abbazia, infatti, nonostante ci siano palesi legami con monasteri e abbazie, la produzione brassicola non è gestita direttamente dai monaci. Questa particolarità rende di fatto la birra d’Abbazia differente dalla birra Trappista!
Conclusioni
La Birra Trappista (su Hopt, cliccando qui, ne trovi una ricca selezione) ha radici molto profonde e per certi versi misteriose. Prodotte dentro le mura dei monasteri, sotto le direttive degli stessi monaci, queste bevande evidenziano una struttura organolettica che nessun altro tipo di birra è capace di replicare.
Solitamente sono birre ad alta fermentazione, le quali possiedono un colore che va dal dorato al bruno scuro. Vantano una schiuma cremosa e compatta, che racchiude aromi complessi e unici. Possiedono sentori tendenti sia al dolce che all’amaro, i quali ben si accostano alla pronunciata gradazione alcolica compresa tra 6-12 %vol. Solitamente sposano benissimo carni e prodotti caseari.
Prosegue il viaggio alla scoperta della buona birra artigianale italiana, che per l’occasione ci porta in provincia di Vibo Valentia. Ci troviamo precisamente nella Calabria centro-meridionale dove sorge Spilinga, un paesino particolarmente rinomato grazie alla famosa Nduja, il delizioso insaccato realizzato dalle frattaglie del suino e dal piccantissimo peperoncino calabrese.
Tuttavia Spilinga non è solo la patria della Nduja. Infatti nel piccolo comune calabrese esiste ormai da diversi anni una pregiata realtà birraia, che custodisce nel Birrificio Cunegonda una storia di passione, fratellanza, tradizione e qualità. A raccontarcela è Pasquale Barritta che, insieme al fratello Francesco, dal 2006 mette in pratica l’esperienza appresa durante il trascorso lavorativo in un microbirrificio del New Jersey (USA), sotto la stretta osservazione del mastro birraio Tom Baker.
Birrificio Cunegonda: L’intervista!
Come nasce l’idea del Birrificio Cunegonda? Raccontateci la vostra storia!
Pasquale e Francesco Barritta – Birrificio Cunegonda
Erano gli anni 60, quando tutta la famiglia emigrò negli Stati Uniti in cerca di fortuna.Gli anni passarono fin quando, nel 1996, veniamo a contatto con dei mastri birrai del luogo. Un incontro che inconsapevolmente segnò l’inizio del nostro percorso nel mondo della birra.
Sempre più appassionati e incuriositi da tutto ciò che riguardava la birra artigianale, durante la permanenza negli USA, abbiamo vissuto sia l’ascesa che la caduta di questa bevanda. Tuttavia, grazie all’esperienza appresa sul campo e sotto la guida del mastro birraio Tom Baker, nella birra iniziammo a intravedere qualcosa che si spingeva oltre la semplice passione.
Era il 2002 e dopo il ritorno in Calabria, decidemmo di iniziare un’avventura tutta nostra in qualità di mastri birrai produttori. Così nel 2005, nella nostra Spilinga, dopo tante disavventure e peripezie aprimmo il primo microbirrificio. D’allora sono trascorsi 16 anni e siamo ancora qui!
Quali birre proponete e cosa c’è dietro la loro realizzazione?
All’interno del Birrificio Cunegonda realizziamo una classica Pale Ale ambrata londinese. Una birra decisamente particolare, che si adatta perfettamente alle nostre condizioni di produzione. Infatti, dopo aver analizzato l’acqua che utilizziamo per birrificare, abbiamo notato la grande somiglianza con le caratteristiche minerarie dell’acqua di Londra.
Di quello che produciamo, almeno il 98% è servito alla spina, mentre solo una piccola quantità viene effettivamente destinata all’imbottigliamento. Inoltre, considerando le dimensioni particolarmente estese del nostro impianto, ci siamo creati un impianto pilota in cui realizziamo, in piccole quantità, delle birre particolari. Tra queste infatti ci sono proposte che utilizzano erbe selvatiche e grani duri crudi.
Tra le diverse birre, qual è la vostra preferita e perché?
Sia io che Francesco, il più esperto in materia, siamo amanti di ogni tipo di birra. Tuttavia io sono maggiormente orientato verso birre più affumicate e stili scuri come le Porter. Francesco invece preferisce le birre ambrate o rosse.
Tra le proposte che offriamo al birrificio Cunegonda, la preferita è sicuramente una birra affumicata rossa da 7,5 %vol, che prevede l’aggiunta del nostro amato peperoncino. Il perché ci piace? Beh, forse perché questa birra riflette gli ingredienti tipici e unici del nostro territorio, da sempre rinomato per il pregiato sapore del suo particolare peperoncino piccante.
Sappiamo che il Covid ha colpito duramente il settore birraio, ma gli appassionati della buona birra continuano ad apprezzarla forse più di prima. Quali novità avete in mente?
E’ vero! Il Covid ci ha colpito duramente, come ha colpito l’intero comparto, che a causa dei blocchi ha subito perdite particolarmente ingenti.Tuttavia siamo speranzosi e risorgeremo dalle nostre ceneri come fece l’antica Araba Fenice.
E proprio prendendo spunto da questo uccello mitologico, che simboleggia l’esempio di resilienza per eccellenza, in quest’anno di rinascita al Birrificio Cunegonda riproporremo la nostra particolare birra Saison, che tra le sue bollicine cela l’essenza calabrese del bergamotto. Inoltre pensiamo anche alla nostra Wheat, una birra realizzata con grano cappello crudo prodotto da una nostra amica.
Ringraziamo Pasquale e Francesco Barritta del Birrificio Cunegonda per la cortese disponibilità. Potrete trovare maggiori informazioni sulla pagina ufficiale Facebook.
A Menegon (ex Heineken) l’incarico di gestire un’importante fase di transizione per il Birrificio 620 Passi che, dopo il passaggio da startup a scaleup, punta ora a diventare la più grande realtà birraia artigianale d’Italia, anticipando di fatto un secondo round di investimenti. La notizia è confermata proprio dal birrificio friulano che, attraverso la conferenza stampa del 30 giugno 2021, comunica l’importante ingresso di Andrea Menegon nelle vesti di nuovo amministratore delegato della giovane azienda friulana a partire dal 1 maggio 2021.
Indice dei Contenuti
Un percorso ambizioso e sfidante per Andrea Menegon
Classe 1986, originario di Udine e laureato in Economia, Menegon approda nel Birrificio 620 Passi dopo un Master in Management Internazionale e dieci anni di carriera all’interno del Gruppo HEINEKEN, di cui sette trascorsi in Olanda, presso il quartier generale di Amsterdam, e tre a Milano nel ruolo di senior brand manager.
Andrea Menegon – AD Birrificio 620 Passi
“Abbraccio il progetto 620 Passi – dichiara Menegon a pochi giorni dall’ufficializzazione della sua nomina – con estremo entusiasmo, perché rappresenta un’idea innovativa all’interno di un mercato in crescita, capace sempre di più di intercettare l’interesse dei consumatori in cerca di storie autentiche e di prodotti di qualità. Il percorso di crescita che ci attende è ambizioso e sfidante. Ringrazio tutto il team e i soci del birrificio per la fiducia in me riposta e per avermi accolto in questa grande famiglia“.
Il neo-amministratore assume l’incarico di direttore generale succedendo alla gestione dell’ex board del birrificio, composto da un team di business angel e imprenditori specializzati nel settore del private equity. “Per il Birrificio 620 Passi– commenta Riccardo Caliari, presidente del birrificio friulano – questo rappresenta un passaggio di testimone decisivo. Stiamo crescendo e siamo pronti a cogliere tutte le sfide che il mercato ci riserva. Altissima competenza, visione di mercato e passione fanno di Andrea il profilo perfetto per prendere le redini di questo grande progetto in cui tutti noi crediamo moltissimo“.
Il piano di sviluppo entro il 2024
A Menegon quindi, il compito di gestire una fase di transizione cruciale per il 620 Passi che, dopo aver concluso nel 2020 la prima campagna di equity crowdfunding con l’ingresso in società di oltre duecento investitori da tutta Italia e 300 mila euro di fondi raccolti, punta già a completare entro la fine del 2021 la trasformazione da startup a scaleup. All’interno del suo impianto produttivo a Gorgo di Latisana (UD), il Birrificio 620 Passi guarda lontano e mira a raggiungere, entro la fine del 2024, oltre il 2.5% di quota a volumi di produzione nel comparto brassicolo artigianale.
“Abbiamo obiettivi molto ambiziosi: vogliamo diventare il più grande birrificio artigianale d’Italia. Per farlo, abbiamo delineato da qui ai prossimi tre anni un piano di sviluppo importante, incentrato primariamente sull’aumento della nostra capacità produttiva e commerciale, e sostenuto da nuovi investimenti lato comunicazione e marketing. Da giugno siamo affiancati da un partner di consulenza strategica, selezionato a seguito di gara (l’agenzia udinese Pubblimarket2) e a livello di organico prevediamo un ampliamento entro la fine dell’anno, con particolare riguardo al team commerciale Italia” – spiega Menegon che conclude anticipando il lancio di un secondo round di investimenti -. Il primo round ha raggiunto risultati molto positivi, andando in overfunding ben prima della data di chiusura della campagna. L’interesse da parte di potenziali nuovi investitori e soci continua a farsi sentire, e il mercato inizia a dare chiari segni di ripartenza. Prevediamo perciò di rispondere con una seconda campagna entro la fine del 2021“.
Birrificio 620 Passi
Il Birrificio 620 Passi nasce nel 2015 a Marano Lagunare (UD) ed è oggi il primo birrificio artigianale condiviso d’Italia. L’azienda è specializzata nella produzione e commercializzazione di birre artigianali di prima qualità, caratterizzate da un gusto schietto e inconfondibile, oltre che da un’attenta ricerca delle materie prime.
Nel 2020, grazie alle soluzioni sviluppate in tema di sostenibilità, 620 Passi entra nel registro delle PMI innovative. Lo stesso anno, inseguendo il sogno di dare vita alla più grande community italiana di beer lovers, l’azienda lancia la sua prima campagna di crowdfunding che in soli pochi mesi vede l’ingresso di oltre 200 soci da tutta Italia.
A distanza di un anno, nonostante l’altalenante campagna vaccinale che solo adesso sembra aver trovato la retta via, diverse manifestazioni hanno subito la cancellazione per motivi di sicurezza legati al Coronavirus. Tra queste sfortunatamente rientra anche l’Oktoberfest 2021, la grande festa della birra celebrata a Monaco di Baviera che, come lo scorso anno, a causa del Covid-19 non potrà svolgersi come previsto. A comunicarlo è stata la DPA dopo una riunione che ha visto tra i partecipanti il premier della Baviera Land Markus Soeder e il sindaco di Monaco Dieter Reiter, in cui è stata decisa la disdetta della 186 edizione del festival.
Il 2020, come tutti sappiamo, è stato un anno estremamente difficile, in cui il Covid-19 ha letteralmente messo a dura prova, oltre alla normale quotidianità, l’economia e la sanità mondiale. Ovviamente con tali condizioni, le diverse manifestazioni programmate nell’anno sono venute meno, come l’Oktoberfest e le amate ricorrenze che tutti gli appassionati di birra attendevano con impazienza.
Tuttavia i danni generati dalla pandemia non si sono limitati solo al 2020, in quanto i problemi, i disagi e le limitazioni del caso sono scarrocciate addirittura nel nuovo anno. Infatti, nel cercare di contenere i contagi, molte manifestazioni ed eventi hanno visto il veto. Una decisione estesa sciaguratamente anche all’Oktoberfest 2021.
Dal 1810, sono ventisei le volte in cui l’importante festival di Monaco, che si svolge solitamente gli ultimi due fine settimana di settembre e il primo di ottobre, non viene celebrato. Infatti, eccetto i periodi che hanno interessato gli anni delle Guerre Mondiali, l’Oktoberfest non venne organizzato nel 1854 e nel 1873 per il colera e nel biennio del 1923-24 a causa dell’eccessiva inflazione.
Detto ciò, dovremmo attendere ancora un altro anno per assistere alla solenne cerimonia in cui il sindaco di Monaco, inserendo il rubinetto nella botte inaugurale, apre le danze con la celebre frase O’Zapft is! Auf eine friedliche Wiesn! (tradotta “È stappata! Che sia una bella festa!”).
Lo zucchero nella birra è un elemento estremamente importante, che il più delle volte equivale alla classica ciliegina sulla torta. Ne esistono a bizzeffe e nel processo di produzione sono utilizzati sia per carbonare che per aromatizzare la birra. Usi particolarmente complessi, che potrebbero migliorare o compromettere irrimediabilmente le qualità organolettiche della birra finita.
La carbonatazione è di sicuro uno dei momenti più delicati della birrificazione, perché sono attimi di apprensione che precedono l’estenuante e curiosa attesa dell’assaggio. Si tratta fondamentalmente di uno stato d’animo insito in ogni birraio, senza distinzione d’età o d’esperienza. Inoltre, come se la tensione del priming non fosse già abbastanza, i dubbi sulla varietà dello zucchero da utilizzare potrebbe rendere la situazione ancora più spinosa.
Un’incertezza che non si limita solo alla carbonatazione, ma si potrebbe estendere anche all’aroma della birra finita, specie se questo complesso odoroso dovrebbe essere disegnato dall’utilizzo di zuccheri particolari. Così tra dosaggi, varietà e modi di fare, una delle domande che solitamente sovviene, specie ai neofiti, è: che zucchero usare per la birra? Vediamo quindi di capirci qualcosa!
Indice dei contenuti
Birra e zucchero: miti e leggende sui fermentabili del priming
Iniziamo col fare una prima distinzione, definendo lo zucchero solitamente impiegato nel priming e quindi utilizzato per conferire quella naturale e piacevole bollicina che esalta i sapori e contraddistingue da secoli questa bevanda.
Per fare il priming nella birra, come ampiamente trattato sul blog, esistono diversi metodi. Tralasciando le modalità d’inserimento dello zucchero nella birra, che possono avvenire sia in fermentatore che in bottiglia (vedi link), il mercato offre agli homebrewers differenti fermentabili.
Ne esistono davvero di svariati tipi, con caratteristiche uniche e particolari. Tuttavia, oltre ai relativi pregi e difetti, ci sono tantissimi miti e leggende che ruotano attorno ai fermentabili di priming, derivanti soprattutto da una divulgazione errata che potrebbe incentivare non poche paranoie.
Quindi: quali zuccheri utilizzare nel priming ottenendo di fatto una buona birra finita?
Zuccheri comuni nel priming
Tra gli zuccheri comunemente utilizzati nel priming, che grazie al profilo neutro non apportano evidenti mutamenti alla struttura organolettica della birra finita, ci sono: Saccarosio (il comune zucchero da tavola), Zucchero di Canna e Destrosio (detto anche glucosio).
Sono zuccheri diversi tra loro, specie a livello molecolare, che reagiscono differentemente col lievito presente nel mosto. Tuttavia hanno il medesimo compito, ovvero quello di carbonare la birra. Ma quali sono le differenze, i pregi e i difetti?
Saccarosio (Zucchero da tavola)
Il saccarosio o zucchero da tavola è uno dei principali fermentabili utilizzati nel priming durante la birrificazione casalinga. Si tratta di un disaccaride, perché la sua molecola è costituita da due monosaccaridi, ovvero glucosio e fruttosio (o destrosio). Questi ultimi si definiscono zuccheri semplici e saranno fermentati solo dopo che l’enzima invertasi o saccarasi, prodotto dal lievito attraverso la reazione di idrolisi, romperà il legame tra loro.
Tuttavia, nonostante il largo impiego nell’homebrewing, questo zucchero nella birra è spesso ritenuto il responsabile di off-flavours, come aromi solforosi o sidrosi. In questo caso, si tratta di leggende oppure c’è del vero?
Secondo alcune tesi, ma senza certezza, gli aromi solforosi (zolfo) deriverebbero dal processo di raffinazione dello zucchero, interessato da un trattamento con anidride solforosa. Un difetto che si evidenzia soprattutto in birre ad alta carbonatazione (tipo belga). Tuttavia è bene riflettere sulle quantità di zucchero utilizzate nella rifermentazione in bottiglia, che in ambito casalingo, sono davvero modeste. Di conseguenza, difficilmente gli odori solforosi sono attribuibili allo zucchero nella birra.
Anche per gli aromi sidrosi (mela verde, erba, foglie verdi e pittura in latex), non esiste nessuna prova concreta che colleghi il saccarosio allo scatenarsi di questi off-flouvers. Il difetto aromatico, invece, potrebbe essere dovuto all’errata gestione del lievito e della fermentazione, che comporterebbe un’eccessiva produzione di acetaldeide. Va detto però, che l’acetaldeide fa parte del processo di birrificazione, in quanto prodotta proprio dai lieviti nel corso del loro regolare metabolismo.
Normalmente l’acetaldeide, prodotta durante la birrificazione, è convertita in etanolo dagli stessi lieviti. Tuttavia se il lievito è scadente, l’azoto libero è insufficiente (FAN: Free Aviable Nitrogen) oppure mancano altri componenti necessari al nutrimento delle cellule, il ceppo va in sofferenza e la riduzione dell’acetaldeide potrebbe non avvenire correttamente. Detto questo, lo zucchero nella birra può essere tranquillamente utilizzato senza che ci sia alcun danno alle caratteristiche sensoriali.
Zucchero di Canna
Lo zucchero di canna, ricavato dall’estrazione del saccarosio dalla canna da zucchero, è spesso utilizzato al posto del classico zucchero da tavola. Tuttavia lo zucchero di canna possiede una percentuale di saccarosio leggermente inferiore rispetto allo zucchero bianco (circa il 99%) e risulta essere più aromatico con leggere note di caramello.
Bisogna comunque chiarire che, difficilmente questi sentori si percepiranno in modo delineato nella struttura organolettica, in quanto le percentuali di zucchero nella birra sono decisamente modeste.
Destrosio (Glucosio)
Il destrosio o glucosio è uno zucchero monosaccaride aldeico ricavato dall’amido di mais, che risulta meno dolce del saccarosio. La sua forma più comune è il destrosio monoidratato, costituito da destrosio e acqua, ed è preferito rispetto al saccarosio perché più veloce da metabolizzare per il lievito. Tale velocità deriva proprio dall’assenza di fruttosio e del relativo legame intermolecolare, che, passando direttamente tra le membrane cellulari del lievito, evita l’azione dell’enzima invertasi.
Inoltre, grazie alla velocità di metabolizzazione, questo zucchero nella birra riduce i fenomeni ossidativi legati all’ossigeno che finisce inevitabilmente intrappolato durante l’imbottigliamento. In sostanza, essendo il destrosio assimilato più rapidamente dal lievito, carbona prima la birra e l’ossigeno produce meno ossidazione sulla struttura organolettica del prodotto finito. Per tale ragione è preferito anche dai birrifici artigianali
Tuttavia è bene ricordare che, per fare priming col destrosio, la percentuale da utilizzare, rispetto al saccarosio, risulta maggiorata del 10%. Questo succede perché, a parità di peso (col saccarosio), il destrosio è costituito anche d’acqua, quindi possiede minore potere fermentativo e minore produzione di CO2.
Zuccheri utilizzati in preparazione e in aroma
Oltre agli zuccheri che conferiscono un raro (o nessun) sentore e quindi esclusivamente impiegati per la carbonatazione, ne esistono altri che contribuiscono concretamente alla struttura organolettica della birra finita. Si tratta di zuccheri particolari, utilizzati dai birrai soprattutto per le qualità aromatiche e cromatiche.
Tra questi rientrano: Zucchero Invertito, Miele, Zucchero Candito, Cassonade, Treacle, Sciroppo d’acero, Lattosio e Melassa.
Tuttavia anche su questa categoria di zuccheri e il loro relativo utilizzo ci sono diverse teorie, che potrebbero disorientare e non poco gli homebrewers meno esperti. Di conseguenza facciamo un po’ di chiarezza, soffermarci sulle differenze, sul contributo organolettico e strutturale nella birra finita, cercando di comprendere l’effettiva utilità di questi zuccheri anche nel priming.
Zucchero Invertito
Si tratta di zucchero da tavola (saccarosio) in forma liquida, ottenuto attraverso il riscaldamento di una soluzione di acqua acidificata in cui viene sciolto il saccarosio. Nella soluzione, sottoposta a calore, avviene la scissione del legame tra fruttosio e glucosio, che grazie all’acidità, una volta raffreddata, manterrà la sua forma liquida.
Lo zucchero invertito inoltre, risulta più dolce del saccarosio, ma fermenta come il classico zucchero da tavola. Fermentazione che naturalmente avviene senza la scissione tra fruttosio e glucosio, reazione già avvenuta in fase di preparazione. Di conseguenza, saltando l’invertasi, la fermentazione sarà più veloce, proprio come avviene utilizzando il destrosio.
E’ utile per il priming? Solitamente questo zucchero nella birra fatta in casa non si utilizza nel priming, ma è impiegato spesso tra un travaso e l’altro per rinvigorire una fermentazione sciatta. La sua forma liquida ne agevola la diluizione nel mosto.
Miele
Il miele probabilmente è tra gli ingredienti che un po’ tutti vorrebbero utilizzare, ma realmente inserito in ricetta solo dai più temerari. Esso, infatti, è un componente molto particolare, che richiede grande cura e destrezza durante il suo impiego. Solitamente si utilizza nella birra per conferire una nota aromatica ricercata e non come sostituto del saccarosio o dello zucchero di canna. Tuttavia se così non fosse, va considerato un quantitativo di miele pari al 20% in più rispetto allo zucchero previsto dalla ricetta.
Nella ricerca di un contributo odoroso particolare, si predilige spesso un miele biologico e dall’aroma marcato (pertinente ovviamente allo stile), aggiunto a fine bollitura oppure a fermentazione già iniziata. A tale proposito però, nel suo utilizzo va considerato anche il fattore contaminazione, in quanto potrebbe essere veicolo di microrganismi e lieviti selvaggi.
Proprio per questo motivo è consigliabile trattare il miele con fonti di calore. Per l’appunto, l’aggiunta del miele deve avvenire a mosto ben caldo oppure, se aggiunto a fermentazione già iniziata, è bene riscaldarlo a bagnomaria, per praticare una specie di pastorizzazione.
Detto questo: quale miele utilizzare e quanto utilizzarne? Se si vuole ottenere un aroma lieve, delicato e floreale, bisogna orientarsi su una percentuale (rispetto al totale dei fermentabili in ricetta) compresa tra il 3 e il 10%, con varietà di miele come arancio, rosmarino, castagno o asfodelo.
Alzando la percentuale dal 10 al 30%, sempre rispetto al totale dei fermentabili in ricetta, si otterrà un aroma più intenso di miele, che dovrà essere necessariamente bilanciato dall’utilizzo di malti scuri, spezie o luppoli. In questo caso però è bene orientarsi su tipologie di miele come corbezzolo, timo, eucalipto o cardo. Oltre il 30% di miele in ricetta, la birra sarà decisamente dominata dall’aroma di questo ingrediente (Braggot o Mead).
E’ utile per il priming? Considerando opportunamente la quantità di acqua in esso contenuta, l’utilizzo del miele può avvenire anche nel priming, sebbene sia vivamente sconsigliato.
E’ uno zucchero che nella birra serve sia ad aumentare gradazione alcolica che a conferire maggiore pienezza e morbidezza (grazie alle destrine). Si ottiene dalla cristallizzazione dello zucchero invertito che, a seconda della raffinazione iniziale (light, medium o dark), può assumere diversi colori e proprietà organolettiche.
E’ utile per il priming? In commercio si trova sia in forma liquida (candy) che in cristalli (rocky). Solitamente si utilizza in boil, per cui non è impiegato come zucchero di priming!
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Si tratta di uno zucchero grezzo, estratto dalla barbabietola (Beet sugar), particolarmente utilizzato nella tradizione belga. In base alle colorazioni (light, medium e dark) e al formato, questo zucchero nella birra apporta sapori particolarmente intensi, che richiamano la nocciola e la frutta secca.
E’ utile per il priming? Solitamente questo zucchero nella birra fatta in casa non viene impiegato nel priming, ma durante la bollitura. Il suo utilizzo in ambito birraio, oltre all’apporto aromatico, incide sull’aumento della densità, mentre le versioni più scure intensificano anche il colore della birra.
Sciroppo d’acero
E’ un componente utilizzato nella birra per conferire un sapore piuttosto resinoso. Costituito da saccarosio e acqua, si ottiene dalla contrazione e caramellizzazione della linfa d’acero. Trattandosi di un fermentabile particolare, s’impiega spesso in prodotti che richiedono una grande complessità aromatica, come le birre da meditazione.
E’ utile per il priming? Diversi homebrewers lo utilizzano anche durante il priming, trattando lo sciroppo d’acero come se fosse miele. Tuttavia, come per il miele, è consigliabile l’uso in ricetta.
Melassa
Dal residuo di trasformazione dello zucchero di canna grezzo in zucchero raffinato, si ricava la Melassa. Si presenta in forma liquida, con diverse colorazioni che ne indicano il grado di raffinazione. Nella birra si utilizza sia per le sue intense doti aromatiche che per l’aumento del grado alcolico. Per questi motivi la melassa è impiegata direttamente durante la preparazione.
E’ utile per il priming? Alcuni documenti storici evidenziavano l’utilizzo della melassa come fermentabile di priming, in quanto lo zucchero raffinato era particolarmente costoso. Oggi il costo dello zucchero è decisamente più accessibile rispetto alla melassa, per cui non esiste un reale beneficio nel praticare il priming con questo componente.
Si tratta di uno zucchero disaccaride composto da lattosio e galattosio ricavato dal latte, che non viene fermentato dai lieviti. Si utilizza spesso nelle Milk-Stout o birre scure dai particolari profumi tostati, in cui il lattosio contribuisce sia alla morbidezza che alla dolcezza residua.
E’ utile per il priming? Come detto in precedenza, non viene metabolizzato dal lievito e di conseguenza non produce CO2 utile alla rifermentazione in bottiglia.
Treacle
Treacle, in italiano, si traduce come melassa, anche se quest’ultima deriverebbe da un processo di produzione differente (in questo caso però ci sono diversi pareri discordanti). Detto ciò, il Treacle è uno sciroppo ottenuto dallo zucchero raffinato, con sapori che per certi aspetti ricorderebbero lontanamente la melassa.
Disponibile in diversi stadi di trasformazione e tonalità cromatiche, la sua aggiunta nella birra contribuisce a un profilo organolettico che riporta a leggeri accenni di vino e distillati.
E’ utile per il priming? In ambito birraio, nonostante il Treacle sia oggettivamente metabolizzabile dai lieviti, si preferisce l’utilizzo in ricetta.
La cosiddetta “Primavera della birra” (fenomeno gastronomico, culturale e socio-economico che segna la crescita di consumo e gradimento della birra artigianale) ha letteralmente stravolto, nell’immaginario collettivo italiano, l’opinione ormai obsoleta e denigrante su una delle bevande più antiche di sempre.
Venti anni fa, infatti, la concezione di birra in Italia si riduceva esclusivamente ai sapori standard delle classiche Lager industriali. Oggi però, fortunatamente, la considerazione verso questa bevanda è notevolmente cambiata, con nuovi modi di berla e degustarla. Modi di consumo che, oltrepassando il “classico” pub, interessano i momenti caratterizzati dai pasti più importanti della giornata.
La birra per l’appunto diventa una bevanda importante da abbinare con gusto a diverse portate. Pranzo e cena sono sicuramente le circostanze di maggior consumo, in cui anche i meno attenti agli accostamenti dei sapori amano degustare, tra una pietanza e l’altra, la fresca leggerezza di una birra, soprattutto artigianale. Tuttavia, il pranzo e la cena forse non bastano più, perché tra i momenti più consoni alla bevuta di una birra spunterebbe anche la colazione! Ma è così sbagliato considerare l’ipotesi di degustare una birra a colazione?
Bere birra a colazione: una tradizione d’oltre confine che potrebbe diventare il nuovo trend italiano
La birra a colazione, in realtà, non è una novità. Per molti paesi, che di questa bevanda ne hanno fatto una cultura, la birra consumata nelle ore mattutine è una vera e propria tradizione. Un esempio di questo tipo riguarda proprio la cultura Tedesca e Austriaca. In queste nazioni nel fine settimana o nei giorni festivi è usuale fare il frühschoppen, ovvero un brunch salato accompagnato spesso da una Weizen.
In Baviera invece, nella tarda mattinata si pratica il brotzeit. Si tratta di uno spuntino salato che si compone di piatti tipici bavaresi, tra cui pretzel, kartoffelkäse (crema di patate e formaggio), obatzda (formaggio bavarese condito con spezie) e carni varie. Questo momento di tradizione, svolto spesso in birreria, si accompagna alla Bayerisches Bier IGP, una tipica birra bavarese di colore chiaro o scuro, dal sapore variabile (da leggermente amaro ad aromatico-maltato) e una gradazione alcolica tra 0,5 e 9 %vol.
Altri esempi di birra a colazione si trovano anche oltreoceano, in particolare nel South Dakota e MidwestAmericano dove la Red Beer, una birra mista a succo di pomodoro, è un culto. Bere birra a colazione è usuale anche in Messico con la Michelada o “cerveza preparada“, una bevanda a base di spezie, succo di lime, pomodoro e tabasco. Una birra considerata un ottimo rimedio post-sbornia e una perfetta alternativa per l’aperitivo o il dopo cena.
Quindi che fine farà la colazione all’italiana?
Di certo, le usanze italiane sono differenti rispetto alle colazioni/brunch d’oltre confine. Ovviamente la colazione è il pasto più importante della giornata e per questo va consumato regolarmente e nel modo più salutare possibile. Tuttavia la colazione per l’italiano non è solo un pasto, bensì un vero e proprio rito.
Che sia beva latte, caffe o cappuccino, mentre, leggendo il giornale, si assapora il cornetto, i cereali o le fette biscottate con marmellata, la colazione in Italia ha certe regole a cui difficilmente gli italiani saprebbero rinunciare. Un attaccamento che tuttavia è anche giusto difendere, perché riguarda la cultura, l’orgoglio e il modus operandi di un popolo abituato a consumare del cibo invidiato in tutto il mondo.
Questo però, non dovrebbe nemmeno rappresentare una chiusura totale verso altre culture e modi di fare. Bere birra a colazione, infatti, potrebbe essere un alternativa da provare, che attraverso accostamenti studiati, darebbe maggiore risalto ai sapori dolci o salati dei piatti tipici del mattino. Dunque si potrebbe pensare all’abbinamento di birre dolci e poco alcoliche oppure a versioni che richiamano i sapori torrefatti di caffè o cioccolato per un accostamento meno traumatico ai devolti dell’espresso!
Ovviamente va ricordato che la birra è sempre una bevanda alcolica e per tale motivo l’abuso provoca danni al corpo umano. Di conseguenza, che sia a colazione, pranzo, cena oppure tra amici, la moderazione è il valore aggiunto che rende la degustazione della birra ancora più speciale.