Il rosso è un colore particolare, associato fin da sempre alla passione e al calore. Sensazioni forti che nascono dal cuore e che attraversano tutto il corpo, regalando estasi e godimento. Ma è proprio da queste semplici sensazioni primordiali, attraverso l’esperienza e la sapienza trappista, che nasce la Chimay Rougue (Tappo Rosso).
Anche questa volta il birrificio Chimay fa parlare di se, con una birra vestita di rosso, che sa sedurre con fermezza e dolcezza, colui che l’assaggia.
Ai sensi…
La Chimay Rougue (Tappo Rosso), non si perde in preamboli. Stappando una bottiglia, s’intuisce subito che non si ha a che fare con una birra qualunque.
Ammirando questa birra si rimane incantanti dal colore ramato, che strizza l’occhio ai riflessi color rubino. Si accompagna ad una schiuma marrone e cremosa, che non rimane troppo a farsi guardare.
Al naso la Chimay Rougue (Tappo Rosso), inebria con i suoi profumi di spezie delicate e malti raffinati, che si intrecciano ai sentori fruttati. Non tardano a farsi sentire leggere note tostate, che ricordano il cioccolato, il caffè e il pane arrostito.
Ma la vera sorpresa sta ne sul gusto. Per certi versi inaspettato. Dietro al suo colore forte e deciso, si cela un cuore tenero. Un gusto delicato e dolce, quasi di miele, che si sposa alla sua struttura leggera e fruttata. Il connubio perfetto del dolce che si lega all’amaro, regala un finale stabile e luppolato.
Considerazioni
Presenta una carbonazione media, non troppo pronunciata, che si accompagna ad una gradazione di 7 % vol, che la fa sedere tra le strong belga. Nonostante il suo grado alcolico, non è una birra che s’impone. Ma si fa bere con molta leggerezza e gusto.
Accostamenti
Un’ottima birra, che servita ad una temperatura di 10-12 °C, si sposa benissimo, con formaggi, primi piatti, salumi e carni alla griglia.
Ritorna la rubrica a gusto mio con le sue recensioni. Rubrica dedicata a tutto quello che ci si aspetta di trovare aprendo una bottiglia di birra. Oggi parleremo della Chimay Tappo Blu. Una birra comune, che s’incontra spesso tra gli scaffali del supermercato, ma che di comune ha ben poco.
Il birrificio Chimay, colonna portante della scuola brassicola belga, configura questa birra all’interno della classe Trappista. Riponendo in essa tutto il sapere delle birre prodotte tra le mura dei monasteri trappisti attraverso le sapienti mani della comunità monastica.
Ai sensi…
Stappando una bottiglia di Chimay Tappo Blu, si riscopre l’essenza di una bevanda antica e ricca di storia.
Veste un colore marrone scuro, che nonostante la limpidità della birra risulta impenetrabile alla luce. L’intenso colore, si accompagna ad una schiuma scura, compatta e cremosa, che possiede una media persistenza.
Al naso risultano aromi forti che creano una paranza di sensazioni complesse. Profumi che ricordano note di cioccolato, spezie raffinate e floreali, che racchiudono come in uno scrigno prezioso, l’unione perfetta col profumo del lievito. Scultore indiscusso di questa birra.
Ma assaporando la Tappo Blu si scopre che dietro al suo colore scuro e rude, si nasconde un cuore tenero. Il suo gusto cela sapori morbidi di malto che sprigionano note dolci di caramello. Sapori che rendono il gusto di questa birra stabile ed equilibrato.
Sul finale rilascia il suo amaro velato, che quasi si confonde alle note vinose di un vino pregiato, trasportando chi la beve in un vortice riflessivo.
Considerazioni
Porta con se un carico alcolico non proprio basso, arrivando a 9 % vol. e questo la fa rientrare di diritto tra le strong belga. Ma è proprio dall’unione misteriosa, tra l’alcol e il resto degli ingredienti, che deriva la sua forza. Una birra nata per evolvere e per invecchiare, che se conservata può mutare il suo aroma e sapore, andando a stabilizzarsi e migliorare ulteriormente.
Accostamenti
La Chimay Tappo Blu, birra trappista per eccellenza, servita nella sua coppa ad una temperatura di 10-12 °C si sposa benissimo con formaggi stagionati e con carni rosse. Ma sa farsi apprezzare anche con i dolci.
Con Pasqua alle porte, fremono i preparativi per organizzare al meglio i generosi pranzi e cene, che accompagneranno giorni di puro accanimento calorico. Come in ogni organizzazione, l’imprevisto non è contemplato, quindi oltre alle varie portate che si susseguiranno sulle tavole, bisogna pensare al bere. E visto che di bere si tratta, perché non proporre una buona birra a Pasqua?
Nel corso degli anni la birra ha mutato di gran lunga la sua considerazione, diventando da bevanda rustica e priva di carattere, ad una vera e propria scelta di classe. Ogni tipo di birra sa come trovare il proprio spazio, esaltando e rivalutando abbinamenti che fino a qualche anno fa erano impensabili.
Pasqua essendo una ricorrenza religiosa, viene accostata ad un periodo di festività, in cui sulle tavole avviene la presentazione di ogni tipo di pietanza. Dalla carne al pesce, dalla verdura agli ortaggi, dal dolce al salato. In tutte queste pietanze la birra può avere un suo perché, andando a contrastare sapori ed esaltandone altri.
Ma è importante sapere come esprimere il massimo da ogni birra. Per cui è bene avere un’idea sulle potenzialità di uno stile, per il quale esso possa esaltare con gusto, il piatto a cui si accompagna.
Antipasto
Gli antipasti nel giorno di Pasqua, sono un inno alla creatività. Si possono trovare antipasti sia rustici che delicati. Che siano panificati, formaggi o salumi, è bene accompagnare questi piatti con una birra leggera, che sia rinfrescante ma non scontata. Una birra pulita che faccia da sipario al resto dello spettacolo. È il caso di uno stile Pale Ale inglese, che vanta una giusta leggerezza, mista ad una divertente bollicina. Lasciando attraverso i suoi aromi luppolati, un gusto pulito pronto ad accogliere un’altra pietanza.
Primo
Arriva così la volta dei primi piatti. Che siano sughi o brodi misti a carne, anche in questo caso a tavola non ci si vuole annoiare. La birra che deve accompagnare queste portate deve risultare beverina, ma con un corpo e una morbidezza che accompagni la pietanza, senza stravolgere il gusto. Qui ci si può affidare ad uno stile un pochino più pesante, che abbia una gradazione media. La scelta potrebbe ricadere su uno stile Belgian Blond Ale. È la versione belga della Pale Ale, a cui è stato aumentato il grado alcolico e la corposità.
Secondo
Così la maratona giunge ai secondi. A fare da padrona è la carne (non me ne vogliano i vegetariani). Per accompagnare questi piatti, serve una birra che sia facile da bere ma che abbia un buon grado alcolico. Allo stesso tempo è bene avere una birra che dia pulizia al palato senza stravolgere il gusto selvaggio della carne. La scelta ricade su una birra strong. Una di queste potrebbe essere uno stile Trippel. Una birra beverina, ma non scontata, che nasconde un carico alcolico medio-alto. Per coloro che non vogliono alzare troppo la gradazione consiglio una birra in stile Altbier. Birra tedesca che conferisce un gusto secco e pulito.
Dessert
Si sa, rimane sempre un piccolo spazio per il dolce. Lasciato li nei meandri dello stomaco, che aspetta solo di essere riempito. Tra pastiere e uova di Pasqua, per concludere in bellezza la tavola, ci si deve affidare ad una birra che si accosti bene al dolce. È il caso di una Stout. Birra scura, con una corposità elevata e un grado alcolico medio-alto. Regala note pastose di caffè e cioccolato, che bene si accompagnano ai dolci. Anche lo stile Porter, può dare belle soddisfazioni, con i suoi aromi tostati.
E dopo il caffè?
Arrivati al traguardo! Dopo aver allargato il buco della cintura e scoperto che misteriosamente il pantalone si sia ristretto, arriva il momento dell’ammazza-caffè. Nessun liquore o amaro. Una tavola brassicola, lo dev’essere fino in fondo! È il momento del fiore all’occhiello, e quindi una birra che farà parlare di se. È il momento della birra in stile Barley Wine, che saprà dare la giusta importanza alla festa culinaria. Una birra importante e riflessiva, che potrà innalzare i giusti spunti su tutto quello che si è mangiato. 😉
Alternative
Ovviamente la birra non accompagna solo piatti a base di carne, ma si sposa benissimo anche con pietanze a base di pesce. Per cui se nelle tavole a fare da padrone sia il pesce, l’alternativa sarebbe una birra che non sia eccessivamente corposa ma che abbia un’allegra carbonazione. È il caso di considerare una birra in stile IPA. Uno stile che basa le sue radici sul luppolo e sul suo amaro. Regalando così un contrasto amaricante, che sul finale rilascia un gusto secco e pulito. Stile brassicolo che ben si abbina anche a piatti a base di ortaggi e verdure.
La birra dunque non è più solo una bevanda da pizza o panino. Essa esce fuori dai soliti stereotipi, rompendo gli schemi, e trovando abbinamenti per ogni situazione e per ogni gusto.
Bere birra è un piacere e perché no, anche un modo per dissetarsi! Ovviamente parliamo sempre di bevande alcoliche, non certo di acqua. Tuttavia ci sono birre che attraverso un grado alcolico contenuto e una struttura organolettica particolare riescono benissimo a soddisfare questa funzione “secondaria”. Fresca e leggera, frizzante e profumata, con un colore chiaro e opalescente riesce a regalare una bevuta semplice e mai scontata. Ecco la ricetta per realizzare passo dopo passo una Blanche in All Grain!
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3 Pentole da 30 l con rubinetto. Consiglio di optare per la praticità delle pentole elettriche, in alternativa vanno bene anche pentole comuni a cui adattare un rubinetto. È possibile limitare l’acquisto anche a 2 unità, ma si dovrà effettuare un travaso in fase di ammostamento aiutandosi col fermentatore;
Arrivati alla temperatura di 45 °C, inserire i malti (Mash In);
Mescolare con un mestolo e mantenere la temperatura costante per 10 min;
Protein Rest: portare la temperatura della pentola a 52 °C. Mantenere la temperatura costante per 15 min;
Beta Amilase: dopo 15 min, portare la temperatura a 63 °C. Mantenere la temperatura costante per 40 min;
In una seconda pentola versare ulteriori 15 l d’acqua. Successivamente alzare la temperatura a 78 °C (acqua di Sparge);
Alpha Amilase: finita la fase di beta amilase, portare la temperatura a 70 °C. Mantenere costante la temperatura per 20 min;
A fine fase, effettuare il test dello iodio. Se il test darà esito positivo procedere al Mash Out; in caso contrario, continuare l’ammostamento a 70 °C fino alla completa conversione degli zuccheri;
Per il Mash Out bisognerà portare il mosto alla temperatura di 78 °C per 15 min;
Trascorsi 15 min procedere al filtraggio del mosto;
Terminato il primo filtraggio, procedere al lavaggio delle trebbie attraverso l’acqua di Sparge;
Travasare il mosto filtrato nella pentola di luppolatura.
N.B.:Il mosto filtrato è travasato in una pentola o, in mancanza, nel fermentatore. Nel caso si utilizzi il fermentatore, al completamento del filtraggio, il mosto potrà essere travasato nuovamente nella pentola di Mash precedentemente lavata!
Nella fase di travaso è opportuno non far splashare il mosto per evitare problemi di ossidazione. A tale proposito si raccomanda di fare il travaso a velocità moderata, aiutandosi con un tubo.
Appena inizia a bollire inserire in pentola il primo luppolo (Cascade 20 g);
Dopo 45 min dal primo inserimento, introdurre in pentola il secondo luppolo (Saaz 10 g);
Prima di terminare la bollitura si potrà inserire (se si possiede) la serpentina per sterilizzarla. Considerando una luppolatura di 60 min è opportuno utilizzare gli ultimi 15 min di bollitura per la sterilizzazione. In questo caso la si potrà adagiare in pentola subito dopo il secondo inserimento di luppolo;
Dopo 5 min dal secondo inserimento, effettuare l’ultimo inserimento di luppolo (Centennial 5 g);
Dopo 5 minuti dal terzo inserimento, inserire in pentola la buccia d’arancia e spegnere la fonte di calore;
Trascorsi 5 min dall’inserimento della buccia d’arancia, procedere al raffreddamento con serpentina o sistema alternativo;
Quando il mosto arriverà a temperatura ambiente effettuare il Whirlpool. L’operazione serve a concentrare tutte le impurità al centro della pentola;
Travasare il mosto nel fermentatore avendo cura di filtrare il tutto.
N.B.: Durante questo travaso è consigliabile far splashare il mosto per favorire la formazione d’ossigeno. Questo accorgimento faciliterà il lavoro del lievito e l’inizio della fermentazione!
Tenere il fermentatore a temperatura costante. La temperatura consigliata è tra 18-20 °C;
Finita la fase vigorosa della fermentazione (1 settimana almeno), è consigliabile fare un travaso in un secondo fermentatore (se si possiede);
Dopo la fase vigorosa della fermentazione è consigliabile tenere la birra nel fermentatore almeno per un’altra settimana. Nonostante in questa seconda fase il gorgogliatore emetterà pochissime bolle (o per niente), molto probabilmente il lievito starà ancora lavorando. L’unico modo per scoprire se la fermentazione è completamente terminata, è misurare la densità (FG). Ricordo che per imbottigliare, il valore della densità FG consigliata è di 1.011 – 1.012.
N.B.: Solitamente la densità FG è inferiore di 1/4 rispetto alla densità OG. Se abbiamo una OG di 1.047 (47), la densità FG dovrà essere di almeno 1.011-1.012 (11-12) per imbottigliare (47/4=11,75).
Conclusa la fermentazione della Blanche realizzata col metodo All Grain è il momento d’imbottigliare la birra! Ovviamente prima d’imbottigliare, la densità FG dovrà essere di almeno 1.011-1.012. Inoltre durante l’imbottigliamento si eseguirà il priming, fatto in fermentatore o in bottiglia, il quale darà la frizzantezza alla birra. Ricordo che per la ricetta è previsto un priming di 5 g/l.
Se voglio fare il priming nel fermentatore?
Sanificare le bottiglie;
Aggiungere dello zucchero alla birra che si trova nel fermentatore. In questo caso aggiungere 5 g di zucchero per ogni litro di birra (Es: 50 g di zucchero per 10 l di birra);
Mescolare delicatamente per favorire la diluizione dello zucchero;
Imbottigliare, avendo cura di lasciare tre dita tra il livello della birra e il tappo della bottiglia;
Tappare le bottiglie.
Se voglio fare il priming in bottiglia?
Sanificare le bottiglie;
Imbottigliare, avendo cura di lasciare tre dita tra il livello della birra e il tappo della bottiglia;
Prima di tappare le bottiglie, aggiungere il quantitativo di zucchero proporzionato alla capienza della bottiglia (Es.: Considerando un priming di 5 g/l, aggiungere 1,65 g di zucchero per una bottiglia da 33 cl). A tal proposito è possibile approfondire questa tecnica con la realizzazione di una soluzione zuccherina;
Imbottigliata la birra è necessario attendere almeno 15 giorni per la rifermentazione in bottiglia. Le bottiglie dovranno essere tenute al buio e a temperatura costante (in questo caso la temperatura consigliata è 18 °C). La stabilità e la delineazione del profilo organolettico della birra arriverà solo dopo 1-2 mesi di maturazione.
Sul canale Youtube troverete la video realizzazione di altre ricette col metodo All Grain. Non dimenticate di iscrivervi al canale!
Modifiche possibili
Nella ricetta della Blanche in All Grain sono state bypassate le fasi inerenti il controllo dei sali dell’acqua e del pH. Per coloro che volessero apportare tali modifiche (da fare con molta cautela) possono approfondire gli argomenti attraverso i relativi articoli (come modificare l’acqua di mash e come modificare il pH).
La schiuma nella birra è uno dei misteri più affascinanti del mondo brassicolo. Spesso dietro a quest’elemento girano dicerie e leggende metropolitane, che diffondendosi, descrivono la schiuma della birra come qualcosa fine a se stessa. In realtà la schiuma ha un suo perché! Che ogni homebrewer cerca di riprodurre fedelmente come i grandi birrifici industriali. Non è un caso che il birraio medio, venderebbe un braccio per avere una schiuma perfetta nelle proprie cotte.
Ma a cosa serve la schiuma nella birra?
Quando si versa la birra, di solito, non viene data importanza alla schiuma che si forma nel bicchiere. In altri casi, invece, pensando che la schiuma sia dannosa, il bicchiere subisce le più svariate posizioni, per cercare di crearne il meno possibile. Ma quello che spesso si trascura è il perché la birra forma la schiuma!
La schiuma ha il delicato compito di conservare tutte le caratteristiche organolettiche della birra. Quel cappello soffice e compatto fa si che gli aromi e i sentori della birra non vengano dispersi. Inoltre la schiuma ha l’importantissimo compito di preservare la bevanda dall’ossidazione. Da queste caratteristiche diventa palese che la schiuma nella birra non solo è utile, ma diventa indispensabile per una bevanda di buona qualità.
Curiosità sulla schiuma…
La schiuma è il segno distintivo di una birra che possiede buone qualità. Essa diventa una caratteristica, che contraddistingue non solo i vari stili, ma anche le diverse scuole brassicole.
Se s’immagina una schiuma imponente e compatta, color panna, che resiste con prepotenza nel bicchiere, probabilmente si starà pensando ad una birra belga. Infatti diversi stili belga come le strong e le birre d’abbazia, hanno come requisito questo tipo di schiuma, che lascia sul bicchiere i cosiddetti “merletti di Bruxelles” (tessiture della schiuma rimaste attaccate al bicchiere).
Così come i belgi, anche i tedeschi, mettono in mostra con orgoglio la poderosa schiuma della loro filosofia brassicola. Nonostante le due scuole si discostino molto l’una dall’altra.
Caso a parte invece, sono le birre inglesi, che considerano la schiuma come ornamento. Deve esistere ma non deve eccedere! Infatti, nonostante la schiuma delle birre inglesi, sia formata da una bellissima tessitura fine e compatta, essa non deve eccedere come proporzione.
La schiuma quindi è prerogativa di qualità, ma esistono delle eccezioni! Nonostante, per alcuni stili la schiuma sia segno di qualità e fierezza, per altri essa fatica a sussiste. Un esempio è lo stile Barley Wine Inglese, dove la schiuma fatica a formarsi. La scarsa schiuma è dovuta alla grande percentuale alcolica, che fa di questa birra una caratteristica fondamentale.
Ma come formare la schiuma?
La formazione della schiuma, seppur non sia ancora ben chiaro quale enzima sia il vero responsabile, viene attribuita ai polipeptidi dei malti. In fase di stesura della ricetta, infatti, viene prestata molta attenzione a quali componenti fermentabili adottare e alle temperature, con cui questi verranno brassati. Infatti il birraio per garantire una buona schiuma alla birra, in molti casi, arricchisce la ricetta con cereali, che andranno a favorirne la formazione. Inoltre per chi esercita un tipo di ammostamento in All Grain, specialmente con il metodo multi step, andrà ad agire sul protein rest, attraverso il quale si può sfruttare l’attività enzimatica di protease e peptidase. L’attività di quest’ultimo, generalmente preferita, garantisce una catena peptidica medio/corta che giova alla tenuta della schiuma.
I polipeptidi, inoltre, lavorando in simbiosi con gli alfa acidi del luppolo, andranno a favorire la stabilità e la compattezza della schiuma. Simbiosi, che si può notare specialmente in birre trattare con la tecnica del dry hopping.
Oltre a tutti gli accorgimenti che favoriscono la schiuma, bisogna prestare attenzione ad altri fattori che vanno a produrre l’effetto contrario. Sicuramente l’alcol incide negativamente alla formazione della schiuma, ma esistono anche altri fattori esterni. Tra tutti, i residui di olio e detersivo nel bicchiere, che compromettendo la tensione superficiale delle bolle, alterano la corretta tenuta della schiuma nella birra.
Considerazioni
Ne ho sentite tante, ma veramente tante sulla schiuma. Dalle tecniche per eliminarla, alle assurde controindicazioni che potrebbe provocare.
La schiuma nella maggior parte dei casi rende la birra, una vera birra. Unica e sola, nella particolarità di quest’elemento. Un birraio espone con orgoglio una birra con una bella schiuma. Ma la verità è solo una: la schiuma che veste la birra, conferisce a questa bevanda un fascino e un’attrazione, che conquista il cuore prima ancora di conoscere il suo sapore.
Appena s’incomincia a fare birra in casa, si sente parlare tanto di metabisolfito. Spesso venduto insieme ai vari kit di fermentazione, trova largo impiego come sanificante. Ma parlando di metabisolfito, è facile trovare pareri discordanti. Infatti, non pochi sono a dubitare della sua vera capacità sanitizzante. Per cui la domanda sorge spontanea: Il metabisolfito sanitizza davvero?
Per rispondere a questa domanda, bisogna andare ad analizzare l’azione del metabisolfito.
In ambito enologico trova un vasto utilizzo. Dove svolge sia un’azione inibitoria alla fermentazione che un’azione antiossidante. È dunque un vero e proprio additivo conservante!
Ma è proprio grazie alla sua azione inibitoria, che il metabisolfito si è fatto strada nella sanitizzazione brassicola. Ed è sempre per la sua azione inibitoria, che bisogna prestare attenzione!
Infatti, la sua azione inibitoria, riesce a contrastare i batteri lattici ed acetici. Ma risulta insufficiente ad inibire i lieviti.
Questo cosa significa?
Significa che il metabisolfito non sanitizza completamente. Esso ci protegge dai batteri lattici e da quelli acetici. Ma non ci tutela contro l’azione dei lieviti spontanei. Che potrebbero avere la meglio sui nostri amati Saccaromyces.
Perché il metabisolfito viene venduto come sanificante?
Probabilmente, la vendita in ambito brassicolo, trova giustificazione in quanto il metabisolfito ha un costo esiguo e se ingerito non è dannoso. Per cui viene pensato anche per chi ha poca esperienza in materia.
Le mie considerazioni
Il mio consiglio è quello di utilizzare altre sostanze come la candeggina diluita (clicca su link per vedere altri prodotti). Nonostante, queste sostanze richiedano un risciacquo più accurato, offrono una maggiore protezione.
Per i più affezionati al metabisolfito, consiglio di usarlo eventualmente a fine sanificazione. Dopo il risciacquo.
Adesso la domanda sorge spontanea: Meglio usare il metabisolfito, essendo parzialmente scoperti, oppure affidarsi ad altre sostanze sanificanti?
La temperatura nella produzione della birra, svolge un ruolo fondamentale. Protagonista fin da subito, essa ha il delicato compito di lavorare in simbiosi con gli enzimi del malto e le cellule del lievito. Dall’ammostamento alla fermentazione, il birraio deve prestare sempre attenzione al fattore temperatura, per la buona riuscita della sua birra.
La temperatura nell’ammostamento
La temperatura in fase di ammostamento, aiuta gli enzimi a svolgere al meglio il loro lavoro. Attraverso gli step in All Grain e alle loro interazioni con la temperatura, è possibile andare ad agire sul lavoro di determinati enzimi. Gli enzimi a loro volta. lavorando al meglio, restituiranno alla birra finita particolari sapori e determinate caratteristiche.
La temperatura del lievito
La temperatura influenza in modo particolare, anche l’azione del lievito in fase di fermentazione. Non è raro infatti, leggere su ogni confezione di lievito, la temperatura ottimale di lavoro.
Ma perché?
Il lievito, come ogni essere vivente, necessita alcuni fattori per sopravvivere. Queste esigenze, sono ottemperate sia dal birraio che da fattori esterni. Il lavoro del birraio, si concretizza con l’ammostamento e con l’ossigenazione del mosto. Queste azioni forniranno tutti i nutrimenti, che andranno a far crescere e moltiplicare le cellule del lievito.
L’altro fattore che influenza l’azione del lievito è la temperatura. Il perché trova risposta, nella natura del lievito stesso. In relazione alla temperatura, definiamo due tipi di lieviti:
Saccharomyces Cerevisiae, lieviti usati per stili ale o “ad alta fermentazione”
Saccharomyces Pastorianus (o Carlsbergensis), lieviti lager o “a bassa fermentazione”.
I lieviti ad alta fermentazione (Saccharomyces Cerevisiae)
I lieviti ad alta fermentazione, preferiscono lavorare a temperature di circa 20 °C, producendo maggiori profili aromatici e più velocemente rispetto ai cugini. I loro profili si ispirano a sentori floreali e speziati che talvolta vanno a contrapporsi con tutti gli aromi derivanti dai malti e dai luppoli.
I lieviti a bassa fermentazione (Saccharomyces Pastorianus o Carlsbergensis)
I lieviti a bassa fermentazione, a differenza dei primi, preferiscono lavorare a temperature piu basse, circa 10 °C, continuando a fermentare molto più lentamente anche a temperature fino ai 5 °C.
La particolarità di questi lieviti, è che lavorando a basse temperature, producono pochi profili aromatici, lasciando più spazio ad aromi derivanti dagli ingredienti principali come malto e luppolo. Oltre al profilo aromatico, la bassa temperatura rende più difficile la proliferazione di microrganismi che potrebbero contaminare il mosto e prendere il sopravvento sul lievito stesso.
Considerazioni
C’è da dire che entrambi i ceppi di lievito riescono a lavorare fino a una temperatura di 30 °C. Infatti non è impossibile brassare una birra a temperature differenti da quelle consigliate. Ovviamente, il lievito rende meglio alle temperature indicate per rilasciare un corretto profilo aromatico.
Ma è bene precisare, che la fermentazione ad una temperatura differente a quella consigliata, porta ad altre conseguenze. Nonostante sia possibile brassare buone birre, non controllando la temperatura nella fase fermentativa, specie nei lieviti a bassa fermentazione può portare a dei problemi. Infatti non è raro avere delle possibili controindicazioni con le bottiglie.
L’errata temperatura può indurre il lievito a fermare la sua azione fermentativa, non facendo abbassare la densità finale. Questo comporta una possibile riattivazione dei lieviti residui in bottiglia, che trovando una densità piuttosto alta, possono provocare l’ipercabonazione, e nella peggiore dei casi l’esplosione delle bottiglie stesse.
Nei prossimi articoli, vedremo come cercare di controllare la temperatura con metodi casalinghi.
Fare birra oggi è molto più semplice rispetto a tempo fa. L’impiego di plastica e acciaio inox ha dato un notevole contributo al processo brassicolo. Infatti con l’utilizzo di questi materiali, il rischio di contrarre infezioni sulla birra, come ad esempio poteva nascere dall’uso di tini e botti, si è ridotto drasticamente. La differenza sta nei materiali stessi e nella loro facilità di pulizia. Sanitizzare un fermentatore in plastica è molto più sicuro e semplice, che sanitizzare un tino di legno. Ma nonostante i progressi, ancora oggi determinati stili birrai come il barley wine, necessita di un elemento essenziale per la maturazione, che la maggior parte degli homebrewers nelle loro case non possiede: le botti in legno. Infatti come detto in precedenza, l’invecchiamento della birra in botti di legno è prerogativa indispensabile per la corretta riuscita dello stile in questione. Per questo motivo è nata l’esigenza di rimpiazzare quest’elemento chiave, con paleativi che potessero per lo meno dare un effetto aromatico simile all’invecchiamento della birra in botte. Le chips nella birra.
Le chips nella birra
Le scaglie di legno o chips, spesso di quercia, subendo determinati processi, riescono ad apportare alla birra aromi simili a quelli derivanti da un invecchiamento in botte. Ovviamente una botte in rovere è sempre una botte in rovere, ma quanti a casa hanno la fortuna o lo spazio di tenere una vera botte di legno?
L’impiego delle scaglie può essere associato ad una specie di dry hopping, il quale attraverso l’immersione delle chips nella birra si riesce a determinare il profilo aromatico derivante dal legno.
Come utilizzare le chips
Sebbene applicare questa tecnica sia relativamente semplice, spesso l’homebrewer può incorrere in alcune difficoltà:
Tipo di legno
Quantità
Sanificazione
Modalità d’impiego
Tempistiche
Sono solo alcuni dei dubbi che possono assalire la mente dell’homebrewer, ma vediamo di fare chiarezza per ognuno di questi possibili problemi.
Tipo di legno
Parlando delle chips nella birra, erroneamente si crede che esistano solo le classiche scaglie di legno. In realtà il commercio offre una vasta scelta di prodotti. Spesso le chips sono di quercia, ma la grande varietà, da la possibilità di avere scelte differenti, con caratteristiche aromatiche diverse.
La varietà del legno, offre la scelta tra materie prime con profili aromatici differenti, che possedendo un carattere più o meno deciso, riescono a definire aromi più o meno pronunciati. Il legno americano ha un carattere aromatico più accentuato rispetto ad altri. Quello ungherese ha un profilo più neutrale mentre quello francese ha dei sentori più delicati.
I sentori aromatici derivanti dalla provenienza, si scontrano con i sapori amari e astringenti del legno. Motivo per cui è bene non eccedere nelle dosi. Oltre al tipo di legno, a fare la differenza è la sua tostatura, che può essere più o meno decisa. La tostatura influisce ulteriormente alla produzione di aromi, che andranno a definire un profilo ancora più strutturato. Per questa serie di fattori è bene avere sempre un certo equilibrio durante l’utilizzo di questo componente.
Oltre alle scaglie, sono disponibili anche formati differenti, quali cubi o spirali. Ma a parità di peso le scaglie offrono una maggiore superficie di contatto. Teoricamente i formati alternativi alle scaglie trovano impiego in stili di birra a fermentazione spontanea, come le lambic. Questi formati essendo diversi dalle scaglie, riescono a conservare micro sacche d’aria che potrebbero diventare l’innesco perfetto di agenti esterni responsabili di fermentazioni acide.
Quantità
Spesso definire le quantità di utilizzo delle chips è un problema. Ma è bene rammentare che la quantità da inserisce nel fermentatore, andrà ad influire sulla birra finita. Quindi non bisogna eccedere con i grammi. Allo stesso modo, se l’inserimento sarà minimo, nella birra i sentori delle scaglie di legno saranno inesistenti. Dunque diventa importante inserire la giusta quantità di chips nella birra. Un dosaggio equilibrato si basa sia sui grammi di legno da inserire che sui litri di birra nel fermentatore. Esso può essere di 1 gr/lt, ma può arrivare fino a 4 gr/lt in base all’impatto che si vuole raggiungere nella birra finita. Per non estrapolare dal legno dei sentori sgraditi o troppo forti, è bene rientrare in questo range.
Sanificazione
Anche la sanificazione è un possibile problema che si potrebbe ripercuotere durante l’impiego di questa tecnica. Sebbene il momento in cui avviene l’inserimento delle scaglie di legno, la birra abbia già acquisito un certo grado alcolico e la temperatura è sfavorevole a un possibile insediamento di batteri, sanificare le scaglie non fa mai male. Esistono diverse tecniche per sanificare le scaglie, ma è fatto divieto assoluto di usare qualsiasi sostanza chimica.
Un mezzo che potrebbe servire allo scopo è sicuramente l’uso del calore. Un modo di utilizzare il calore è quello d’infornare le scaglie di legno a 100 °C per 15 min. Un secondo metodo, è bollire le scaglie per 10 min in acqua bollente. Ma se da un lato questo fa scemare l’intensità di sostanze indesiderate, dall’altro provocherebbe inevitabilmente la perdita di altri elementi nobili del legno.
Pentola con chips
Un metodo interessante per sanificare il legno è quello del bagno-maria. In pratica si mettono le chips in un barattolo che si fa bollire per 15 min. Questo tipo di tecnica, può essere anche associata a un altro modo di sanificare, ovvero l’utilizzo di alcol o superalcolico.
Chips con liquore
Entrambi i procedimenti vanno a evitare il rischio d’infezione, mentre l’utilizzo di un superalcolico, quale whisky, brandy, ecc… oltre a sanitizzare, conferisce un’ulteriore parte aromatica al legno, che in seguito si trasferirà alla birra.
Non è raro che le chips dopo la sanificazione, siano lasciate qualche giorno dentro il superalcolico o un buon vino per far si che il legno s’impregni dell’aroma.
Modalità d’impiego
Per quanto riguarda le modalità d’impiego delle chips, ci si può ispirare al dry hopping, in quanto la tecnica d’infusione è molto simile. Come per il luppolo lasciato in infusione nella birra dentro al fermentatore, anche le chips subisco lo stesso trattamento. Per rendere la birra finale più limpida e priva di scaglie, ci si può aiutare con un sacchetto da dry hopping, che sarà preventivamente sanificato insieme alle scaglie (senza l’utilizzo di sostanze chimiche). Un’altra possibilità è filtrare la birra prima di essere imbottigliata, se le scaglie di legno sono inserite liberamente nel fermentatore.
Tempistiche
Il tempo in questa tecnica diventa fondamentale, poiché anch’esso è responsabile dell’impatto che avrà la birra finita. Maggiore sarà il tempo di contatto con le scaglie dentro la birra, maggiori saranno gli aromi ed eventuali sentori poco graditi. Di solito i tempi per birre poco alcoliche, si attestano a circa 1-2 settimane, per arrivare a un mese o più per birre più strutturate e alcoliche. Tutto dipende dall’idea del birraio e da cosa pretende dalla sua birra. Ma è bene non stravolgere troppo l’equilibrio per evitare di avere sapori astringenti che potrebbero coprire altri aromi.
Su quali stili applicare la tecnica delle chips di legno?
Questa è una domanda che sicuramente tanti homebrewers, specie i più meticolosi si potrebbero porre. Partendo dal presupposto che nonostante la produzione di birra abbia tante regole che si applicano ai tanti stili brassicoli, la fantasia di un birraio può non aver limite. Per cui con moderazione, le chips di legno, trovano impiego in diversi abbinamenti brassicoli. Per i più precisi invece, consiglio di utilizzare le chips, in birre come:
Bisogna ricordare che l’effetto delle chips nella birra, si può apprezzare con il passare del tempo. Solo attraverso la maturazione, l’effetto delle chips, avrà dato un valido contributo alla struttura della birra. Il tempo andrà a far scemare i tannini del legno, responsabili di sapori astringenti, per lasciare spazio a sentori più delicati ed equilibrati. Per birre poco strutturate, si va da un minimo di 2/3 mesi, fino ad arrivare a più di un anno per birre più importanti.
La passione per la birra va di comune accordo con la curiosità, che spinge alla continua ricerca del gusto. Ma il gusto è un fattore personale, che non segue nessuno schema. E quando si va fuori dagli schemi, anche nel mondo della birra, s’innalza la voce di uno stile speciale: il Lambic. Lo stile Lambic, è il connubio di circostanze uniche. Birre acide, caratterizzate dalla fermentazione di lieviti spontanei, che donano al prodotto finito aromi e sapori distinti e speciali. Ma è proprio dalla particolare miscela di birre lambic, che nasce un sotto-stile denominato Gueuze. Birra Gueuze per eccellenza è: la 3 Fonteinen Oude Geuze.
La 3 Fonteinen Oude Geuze, è una birra belga, prodotta dal birrificio 3 Fonteinen. Birra assemblata dalla miscela di tre Lambic, invecchiate rispettivamente di 1, 2 e 3 anni, che vanno a comporre un carattere unico. palesemente controcorrente. Non filtrata ne pastorizzata, questa birra dopo il suo assemblaggio, matura in bottiglia, sviluppando la sua ipercarbonazione. Tra gli ingredienti spicca oltre al malto, una percentuale molto alta di frumento, che contribuisce insieme ai lieviti spontanei, al contesto mistico di questa birra.
Ai sensi…
Versando la 3 Fonteinen Oude Geuze nel bicchiere, si capisce subito di non avere a che fare con una birra qualsiasi. Di color arancio, nasconde dentro la sua opalescenza, tutto il suo carattere deciso e inconfondibile. Indossa una schiuma con un bianco molto particolare. Una schiuma abbastanza arrogante, che s’impone con prepotenza e persistenza.
Avvicinare il bicchiere al naso, è un’esperienza che a primo impatto lascia attoniti. Il pungente odore dei suoi lieviti, aggredisce le narici andando a toccare l’istinto primordiale, che ci avverte dell’acidità di questa birra pazza. Un misto di odori, che si fa strada, tra il fruttato, l’acetato, l’ammuffito, lo speziato e il legnoso. È solo dopo aver liberato gli aromi rinchiusi in bottiglia, che questa birra rilascia velate note maltate.
Andando oltre agli allarmi olfattivi, al palato la 3 Fonteinen Oude Geuze, svela le sue carte. L’acetico che si rivela al naso, non tarda ad imporsi anche al gusto, ma con esso trovano spazio anche venature fruttate e agrumate. Ma il cuore di questa Gueuze sta nella frizzantezza, che spicca sul corpo medio. Il finale non si discosta dal gusto forte e pungente, risultando comunque secco e pulito. L’aroma e l’amaro del luppolo, hanno un impatto di poco peso, contrastato sicuramente dagli aromi che la stessa birra propone.
Considerazioni
La 3 Fonteinen Oude Geuze, non è una birra dai canoni standard. È una birra nuda e cruda, che non si può bere una dietro l’altra. Il suo aroma pungente e deciso, si lega al suo gusto altrettanto forte. È una birra, che per i più spericolati, può essere degustata con l’aggiunta dei lieviti decantati in bottiglia. Ma avverto che il gusto si triplica!
Una birra da provare che sicuramente apre un sipario molto disparato. Ma una cosa è certa: non passa inosservata. Che questa birra piaccia o meno, in una bella serata, nel bene o nel male sa lasciare il segno.
Accostamenti
Nonostante il gusto pungente, con i suoi 6% vol. alcolico, potrebbe essere abbinata al pesce, ai formaggi, e con azzardo anche ai dolci.
Facendo birra in casa, il birraio, pretende dalle sue birre un gusto particolare che sappia conquistare. Ma che sia un birraio o una persona che beve birra, quando il gusto si affina a sapori più complessi, si ricerca sempre quella chicca che sappia stuzzicare il palato. È il caso della Chouffe Blonde (tappo giallo). Una tipica Ale belga, non pastorizzata, ne filtrata, prodotta da La Brasserie d’Achuffe, con le preziose acque della sorgente Cetrogne.
Ai sensi…
La Chouffe Blonde, è una birra che non lascia nulla al caso, coccolando ogni senso sensoriale. Versandola nel bicchiere, si colora di splendide tonalità arancio e dorate. Una birra disegnata da una torbidità impenetrabile, sapientemente accompagnata da una schiuma compatta e persistente (forse anche troppo).
Avvicinando il calice al naso, la Blonde, conquista con la danza delle sue note aromatiche. Un vero tripudio al floreale e al fruttato. La complessità aromatica, che gioca con la frutta, tra banana e agrumi, non esclude altri profumi. Rilasciando dolcemente sentori speziati, di coriandolo e crosta di pane.
Quando si beve, avviene un’esplosione di sapore. Il suo gusto caldo e avvolgente, regala al palato un armonioso equilibrio, che lega il suo lato alcolico al finale dolciastro di caramello. Merito della scrupolosa scelta, nella varietà dei malti. Il suo amaro è vellutato, capace di essere percepito, ma che elegantemente lascia spazio ai gusti predominati del malto.
Considerazioni
Una birra che conquista e continua a sedurre anche dopo averla bevuta. Con la gradazione alcolica di 8.0% vol., viene colloca nella categoria strong dello stile ale. Ma il grado non dispiace perché fondendosi nell’armonia dei sapori, regala ad ogni sorso un’avvolgente sorriso.
Accostamenti
La birra del simpatico gnometto in monociclo, accompagna molte pietanze. Dalla carne al pesce, dalla pasta alla pizza, fino ai formaggi. La Chouffe Blonde, servita ad una temperatura di 8-10 °C, sa sempre come comportarsi.