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Reazione di Maillard: il buono dietro colore, aroma e sapore della birra!

La birra deriva da complessi meccanismi chimici che determinano aspetti visivi e organolettici della degustazione. Approfondire l’articolato mondo della chimica risulta sicuramente complicato, tuttavia alcuni argomenti vanno necessariamente affrontati per comprendere l’essenza di questa bevanda. Tra i fenomeni di natura chimica della birrificazione, ne esiste uno comune alla cucina perché coinvolge la cottura di determinati alimenti. Si tratta della cosiddetta reazione di Maillard, dal nome del chimico francese Louis Camille Maillard che nel 1912 osservò e descrisse l’imbrunimento in soluzioni di zuccheri e amminoacidi. E’ una reazione d’imbrunimento non enzimatico degli alimenti a base glucidica, responsabile d’importanti modificazioni organolettiche. Un effetto evitato in alcuni alimenti (latte), ma che in altri è ampiamente ricercato come la crosta del pane, la doratura dei biscotti, i corn flakes, la carne arrostita, il caffè oppure la cioccolata. Un effetto volutamente indotto anche nella produzione della birra, della quale influenza favorevolmente le proprietà sensoriali.

Indice

  1. Cosa c’è dietro il colore, l’aroma e il sapore della birra?
  2. La Reazione di Maillard nella birra
  3. Gli zuccheri riducenti
  4. Le fasi della reazione
  5. Fattori che influenzano la Reazione di Maillard

Cosa c’è dietro il colore, l’aroma e il sapore della birra?

barattolo con malto

Gli aspetti sensoriali della birra sono strettamente connessi agli ingredienti con cui si realizza. Tra i diversi componenti, il malto è sicuramente la base su cui si fonda gran parte della ricetta, insieme ovviamente a luppolo, acqua e lievito.

Dal grado di tostatura del malto si delineano colore e parte dei componenti aromatici e gustativi della birra, che si originano per l’appunto dal verificarsi dalla reazione di Maillard.

maschere abbracciate con bottiglie

Ciò che innesca la reazione di Maillard è la concomitante presenza di zuccheri riducenti, in condizioni di temperature superiori a 110°C (oppure a temperature inferiori ma con tempi estremamente prolungati), e di amminoacidi liberi (unità costitutive delle proteine).

L’interazione tra zuccheri riducenti e amminoacidi scatena una serie di complesse ed eterogenee reazioni chimiche che portano alla formazione di prodotti diversificati. Prodotti responsabili di una vasta gamma di aromi e sapori e di una colorazione caratteristica. Il sapore e/o aroma risultante è determinato dalla tipologia di amminoacido interessato.

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La Reazione di Maillard nella birra

Nel paragrafo precedente abbiamo affermato che la reazione di Maillard si verifica grazie all’interazione tra zuccheri riducenti e amminoacidi presenti nei prodotti alimentari sottoposti a trattamenti termici o conservati per lunghi periodi di tempo, in determinate condizioni.

Come avviene l’incontro tra zuccheri riducenti e amminoacidi nel complesso mondo della birra?

Omino con dubbio

Amido e proteine sono i componenti principali dell’orzo ed entrambi subiscono una significativa degradazione e modificazione durante i processi della maltazione e della birrificazione.

Durante il processo di maltatura, ovvero quando le cariossidi germinate sono prima essiccate e poi riscaldate a temperature differenti per ottenere diversi tipi di malto, le proteine vengono idrolizzate a polipeptidi, peptidi e amminoacidi liberi, ad opera di enzimi proteolitici.

La maggior parte degli amminoacidi verrà successivamente metabolizzata dal lievito durante la fermentazione, mentre la percentuale rimanente andrà a favorire la reazione di Maillard.

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Gli zuccheri riducenti

Anche gli zuccheri riducenti, così come gli amminoacidi, sono il risultato dell’azione degradativa di enzimi durante il processo di maltazione e birrificazione.

Cos’è uno zucchero riducente?

gruppo aldeidico e chetonico
gruppo aldeidico e chetonico

I carboidrati sono composti organici costituiti da carbonio, idrogeno e ossigeno. A livello molecolare sono poliidrossialdeidi o poliidrossichetoni (a seconda che sia presente il gruppo aldeidico o il gruppo chetonico) o composti che possono formarli per idrolisi.

Gli zuccheri sono i membri più semplici della famiglia dei carboidrati e sono caratterizzati da una struttura formata solo da 1 o 2 unità base e dal sapore dolce (glucosio, fruttosio, lattosio, saccarosio). I carboidrati complessi, invece, sono costituiti da decine o centinaia di unità base legate tra loro (amido, glicogeno, fibra).

Gli zuccheri, possono essere classificati in riducenti e non riducenti secondo la loro capacità di ridurre particolari reattivi in ambiente basico.

Affinché uno zucchero presenti attività riducente è necessario che in soluzione possa esistere in una forma a catena aperta con un gruppo aldeidico o chetonico. Gli zuccheri non riducenti, invece, in soluzione non presentano né un gruppo aldeidico né un gruppo chetonico libero e pertanto non possono agire da agenti riducenti. Esempi di zuccheri riducenti sono il glucosio, il fruttosio, il maltosio, mentre il non riducente è invece il saccarosio, ovvero il comune zucchero da cucina.

Gli zuccheri riducenti utili nella birra derivano dall’amilosio. Si tratta di un polimero composto da lunghe catene di glucosio presente nei cereali, il quale viene scisso dagli enzimi amilolitici presenti nel chicco generando polimeri di glucosio più corte, come destrine, maltosio, glucosio.

Le fasi della reazione

La reazione di Maillard avviene in diverse fasi, con la formazione di composti differenti a seconda della temperatura, del tempo, del pH e della concentrazione degli zuccheri riducenti e amminoacidi, che portano quindi a risultati disparati in termini di colore e aroma.

Aldeidi volatili, pirazine (composti eterociclici aromatici) e altri composti derivanti dagli zuccheri saranno responsabili dell’aroma; le melanoidine, pigmenti polimerici bruni o neri, invece, conferiranno il colore caratteristico degli alimenti cotti.

Le fasi della reazione di Maillard
Le fasi della reazione di Maillard

Fase primaria

La prima fase consiste nella reazione di condensazione tra il gruppo amminico di un amminoacido (-NH2) e il gruppo carbonilico (C=O) di uno zucchero riducente nella forma a catena aperta. Il composto di addizione che si forma perde una molecola di acqua per formare la base di Schiff, che, per ciclizzazione, si trasforma nella glicosilamina N-sostituita.

Quest’ultima, essendo molto instabile, subisce un riarrangiamento dei doppi legami che porterà alla formazione di un composto di Amadori o di un composto di Heyns. Il composto varia a seconda che lo zucchero riducente sia rispettivamente un aldoso o un chetoso (negli aldosi, il gruppo carbonilico fa parte di una funzione aldeidica, nei chetosi, invece, fa parte di una funzione chetonica).

In ogni caso, questa reazione è conosciuta come “riarrangiamento di Amadori – Heyns” ed è sempre catalizzata dalla presenza degli acidi. Questi intermedi sono estremamente stabili e in alcuni prodotti (ad esempio il latte sterilizzato) possono già essere considerati come prodotti finali della reazione. In questo stadio della reazione non si manifesteranno né composti coloranti né profumanti.

Fase intermedia

Strettamente connessa a fattori termici e alcalini, questa fase genera i primi sviluppi della reazione di Maillard, con una leggera colorazione e un particolare aroma.

Le trasformazioni di carattere chimico subite dai prodotti di Amadori-Heyns che interessano questa fase sono particolarmente difficili da studiare e descrivere. Tuttavia è possibile individuare alcuni prodotti principali, come l’idrossimetilfurfurale, le aldeidi di Strecker (aromatiche, dotate di un proprio odore caratteristico e precursori di molti composti aromatici), i composti dicarbonilici, derivanti dalla frammentazione degli zuccheri.

Fase finale

Nell’ultima fase si ha il più alto grado d’imbrunimento possibile, grazie alla sintesi delle melanoidine a seguito della condensazione dei composti a basso peso molecolare precedentemente formatisi.

Le melanoidine (C17-18H26-27O10N) sono pigmenti polimerici insolubili, a elevato peso molecolare, con contenuto variabile di azoto e sono dotate di una colorazione che può andare dal giallo chiaro al marrone scuro e pertanto sono responsabili della tipica colorazione del substrato dal marrone scuro al nero (da qui il termine “imbrunimento non enzimatico”).

E’ importante sottolineare come l’apporto di melanoidine alla birra finita, oltre che dalla maltatura, è dovuto anche alla successiva fase di bollitura del mosto.

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Fattori che influenzano la Reazione di Maillard

mani nel malto

Abbiamo visto che la reazione di Maillard conferisce colore e aroma agli alimenti e che avviene in funzione del tempo e della temperatura di trattamento, a patto che vi siano proteine e zuccheri riducenti. Tuttavia esistono anche altri fattori che influenzano indirettamente il risultato della reazione. In particolare:

  • Natura e concentrazione dei reagenti;
  • pH: ambienti basici di pH favoriscono la reazione, la quale risulterà più veloce con valori leggermente superiori a 7;
  • Attività dell’acqua: la reazione, per compiersi, necessita di molecole d’acqua a bassa reattività. Questo perché, in soluzioni troppo diluite, i reagenti si incontrano con maggiore difficoltà;
  • Tempo e temperatura del trattamento: sono due fattori che incidono sempre sullo sviluppo della reazione, ma vanno considerati in coppia. Una temperatura eccessivamente alta unitamente a tempi troppo prolungati, non solo comprometterà il risultato della reazione, ma favorirà la formazione di sostanze amare e dannose.

Si ringrazia Erika per la gentile supervisione!

Buona birra a tutti.

Birra artigianale, sempre più Regioni adottano una normativa per tutelarla!

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Sono trascorsi 25 anni dal 1996, momento in cui la birra artigianale iniziò a diffondersi in Italia. Dall’ora la consapevolezza qualitativa di questa bevanda è drasticamente aumentata, diventando di fatto un prodotto d’eccellenza e d’orgoglio nazionale. Ma c’è dell’altro! In particolare negli ultimi 10 anni, oltre al crescente prestigio, la birra è divenuta un importante sbocco lavorativo e un fondamentale ingranaggio del PIL italiano. Ciò nonostante le leggi che ne regolavano e tutelavano la filiera e il prodotto in generale sono state alquanto altalenanti. Finalmente però le cose stanno mutando, con disposizioni volte a dare nuova linfa a un prodotto dalle grandi potenzialità. Un prodotto capace di rappresentare ricchezza e una reale ripartenza della nostra economia. Così, dopo la normativa regionale di Lazio e Lombardia, finalizzata alla valorizzazione della birra artigianale e della sua filiera, arrivano nuove proposte di legge anche per Piemonte e Abruzzo. Ma nello specifico cosa prevedono?

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Lazio: normativa a sostegno dei piccoli produttori di birra artigianale

Con un iter iniziato nel 2018, su proposta del Consigliere Daniele Giannini (Lega), a inizio dicembre 2020 è stata finalmente approvata la normativa della Regione Lazio sulla birra artigianale.

Lazio - Roma - Colosseo

La neo legge laziale garantirà la valorizzazione della produzione brassicola regionale con un importante stanziamento di 800 mila euro per il biennio 2021-2022.

I fondi saranno destinati ad attività informative e promozionali, anche a carattere turistico e culturale, alla formazione, all’aggiornamento professionale e alla qualificazione degli operatori del settore. Inoltre saranno garantite le spese per progetti di ricerca e per interventi relativi alla promozione della coltivazione e della lavorazione delle materie prime per la produzione della birra artigianale.

Lombardia: valorizzazione della filiera locale e dello sviluppo turistico legato all’attività birraia

D’impronta simile anche il testo di legge regionale proposto in Lombardia. Testo presentato da Unionbirrai e supportato sia dal Consigliere Andrea Monti che da Floriano Massardi, entrambi rappresentanti Lega e promotori della norma.

Milano - Piazza del Duomo

Gli obiettivi della normativa sono la valorizzazione della produzione brassicola regionale e l’incentivazione della coltivazione delle materie prime. Inoltre prevede la formazione professionale degli addetti ai lavori e lo sviluppo del turismo brassicolo.

Tra i tanti aspetti della legge va sottolineato proprio il particolare interesse al turismo brassicolo. Un punto di fondamentale rilevanza e approfondito da Unionbirrai, poiché sembrerebbe essere il giusto incentivo allo sviluppo del settore della birra artigianale. Un ambito che prevede, inoltre, sia la formazione degli operatori che la possibilità di somministrazione nei locali di produzione, consentendo di fatto la creazione di diversi percorsi interdisciplinari.

Piemonte: proposta di legge per valorizzare la filiera brassicola d’eccellenza

Si tratta di una proposta di legge volta alla valorizzazione della filiera brassicola piemontese. Proposta che vede come primo firmatario il capogruppo di Forza Italia in Regione Piemonte Paolo Ruzzola.

Questo provvedimento – puntualizza Ruzzola – nasce per dare risposta alla difesa di tutto il mondo produttivo che ruota intorno alla birra. Dagli operatori che coltivano materie prime come il luppolo e l’orzo in Piemonte, ai micro-birrifici che popolano e animano la vita dei nostri Comuni“.

Torino - Mole Antonelliana

La normativa garantirà un aiuto per la produzione della birra artigianale regionale, la promozione delle coltivazioni delle materie prime e un sostegno per l’innovazione dei processi produttivi negli stabilimenti. Inoltre è prevista l’istituzione di un registro dei micro-birrifici piemontesi e la possibilità di avviare uno spaccio nelle aziende agricole.

Crediamo fortemente che sia necessario supportare un segmento economico di riferimento – conclude Ruzzola –. Basti pensare che la giuria internazionale di ‘Birra dell’Anno’ ha decretato che le birre artigianali del Piemonte sono tra le migliori d’Italia tanto che su 41 categorie la nostra si è aggiudicata otto riconoscimenti“.

Abruzzo: Approvata la norma per la promozione e la valorizzazione della birra agricola e artigianale

Abruzzo - Civitella Del Tronto

Sempre in linea con le altre leggi di tutela della birra artigianale è la normativa regionale approvata in Abruzzo. Legge che porta la firma di Vincenzo D’Incecco, Capogruppo in Consiglio Regionale Abruzzo, ed Emiliano Di Matteo, Consigliere e presidente Commissione Agricoltura, entrambi rappresentanti Lega.

La disposizione, che dimostra una certa uniformità con le altre regolamentazioni regionali, prevede un marchio per la birra agricola e artigianale abruzzese, la creazione di un portale regionale telematico sul prodotto, una fiera regionale della birra agricola e artigianale e un “disciplinare” della produzione.

Conclusioni

La strada intrapresa da queste Regioni è l’effetto di una forte crescita che ha interessato e continua a interessare la birra artigianale italiana. Un prodotto sempre più apprezzato da appassionati e non, il quale necessita di un supporto che inizia proprio dalla terra.

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Un supporto finalmente inteso dalle varie istituzioni, che si dimostrano disposte ad ascoltare associazioni e rappresentanti di settore, i quali hanno evidenziato l’importanza delle materie prime, fondamentale fonte di occupazione e d’italianizzazione di un prodotto che sia 100% Made in Italy.

La speranza ovviamente è che questo sia solo l’inizio di un percorso pensato per prodotto destinato a eccellere sempre più sul palcoscenico mondiale della birra. Di conseguenza possiamo auspicare che altre Regioni aderiscano a questa “rivoluzione” di tutela e valorizzazione della birra d’eccellenza che, unitamente alla sua filiera, vuole a tutti i costi radicarsi nella cultura del Bel Paese.

Buona birra a tutti.

Orrori impensabili da gustare: le birre più strane e particolari al mondo!

La birra è una bevanda dalle mille sfumature. Mai scontata, nonostante la veneranda età, si è contraddistinta per la moltitudine di sapori e profumi generati dalle diverse varietà di malto, luppolo e lievito. Tuttavia l’arrivo della “Primavera della Birra”, il numero di bevitori sempre più attenti ed esigenti, complesse strategie di marketing e la continua ricerca dell’unicità gustativa hanno favorito la nascita di caratteri organolettici differenti e talvolta impensabili, alcuni dei quali fondati su ingredienti non proprio appetitosi. Si tratta di birre particolari, che hanno fatto della stranezza estrema e qualche volta nauseabonda un punto di forza per competere (si fa per dire) con la tipicità dei sapori di sempre. Ma quali sono gli azzardi gustativi pensati sulle birre protagoniste di sapori insoliti e stravaganti?

Indice

  1. Birre particolari o stranezze? Quando l’impensabile diventa realtà
  2. Birre con ingredienti animali
  3. Birre con ingredienti di scarto animale
  4. Birre con affinità umane
  5. “Si può fare!”

Birre particolari o stranezze? Quando l’impensabile diventa realtà

Andrew Zimmern
Andrew Zimmern

Facendo zapping, capita spesso d’imbattersi in curiosi programmi TV di vario genere. Tra i tanti, uno dei più forti e stravaganti, che trattano della parte occulta dei sapori, è senza dubbio il famoso talk show “Orrori da Gustare” condotto dal temerario Andrew Zimmern.

Ebbene, in questo programma il conduttore va alla ricerca di sapori strani, figli di culture lontane, caratterizzati da ingredienti non proprio appetitosi. Si mangia di tutto, senza pensare troppo a cosa o chi contraddistingue il piatto!

Ovviamente questo shakeraggio di sapori non si è limitato solo ed esclusivamente al cibo, ma ha coinvolto anche il mondo della birra, rimarcando per l’ennesima volta la grande varietà di questa bevanda.

Tuttavia non si tratta della solita diversificazione con cui spesso la birra ha disegnato nuovi e raffinati sapori utilizzando specie di malto, luppolo o lievito esclusivi. Questa volta parliamo per l’appunto di ingredienti particolarmente alternativi, capaci di forgiare birre decisamente strane e particolari!

Birre con ingredienti animali

Si tratta di un ambito brassicolo odiato da vegani e vegetariani, spesso oggetto di critiche e manifestazioni, che prevede l’uso di parti animali come ingrediente speciale di alcune birre. L’ispirazione di questi birrifici arriva dalle usanze del luogo in cui producono oppure da idee nate per lasciare il segno. In entrambi i casi la sperimentazione ha permesso l’utilizzo d’ingredienti che mai si sarebbe pensato d’inserire nella ricetta di una birra.

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Rocky Mountain Oyster Stout

 Rocky Mountain Oyster Stout
Rocky Mountain Oyster Stout

L’idea d’ingredienti animali nella birra iniziò come la bufala di un famoso pesce d’aprile, orchestrato a regola d’arte da un birrificio della contea di Denver in Colorado. Tuttavia la burla si trasformò presto in realtà!

Il birrificio Wynkoop Brewing Company (autore dello scherzo) per non deludere le aspettative degli appassionati più temerari, dopo la bufala, decise d’immettere sul mercato una birra che avesse come ingrediente “non segreto” i testicoli di toro.

La Rocky Mountain Oyster Stout è un richiamo all’esclusivo spuntino occidentale a base di testicoli di toro fritti. Soprannominata “la birra in scatola” è venduta in confezioni da due (riferimento puramente casuale). Ogni barile di birra è realizzato con più di 11 kg di testicoli di toro arrostiti e successivamente affettati. Si presenta di un marrone intenso e un aroma torrefatto di cioccolato e caffè. Al gusto invece è robusta e leggermente viscosa.

HValur 2

HValur 2
HValur 2

Sempre per rimanere in tema, come non citare le produzioni del birrificio islandese Steðja? Si chiamano Sùrhvalur (versione acida) e HValur 2 (versione tradizionale).

Sono birre particolari realizzate con testicoli di balena comune, che richiamano la tradizione islandese e la sua tristemente nota mattanza di cetacei. Un’orrenda e storica usanza protagonista di non poche polemiche e contestazioni da parte di associazioni ambientalistiche che proteggono questi mammiferi purtroppo in via d’estinzione.

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Pig Porter

Pig Porter
Pig Porter

Sempre per quanto riguarda l’anatomia animale e gli orrori da gustare, va anche ricordata la particolare birra che utilizza le ossa affumicate del Mangalitsa, una razza di maiale reale dal pelo lungo, nero e riccio. L’autore della Pig Porter, premiata nel 2011 come migliore birra sperimentale al Great American Beer Festival, è il Right Brain Brewery, un birrificio del Michigan negli Stati Uniti d’America.

E’ una birra sicuramente non per vegetariani, che richiama la tradizionale cultura americana legata ai grandi barbecue. Il particolare ingrediente, che subisce uno speciale trattamento di affumicatura, conferisce alla birra un intenso sapore affumicato con sentori di cioccolato, ma senza l’utilizzo dei tradizionali malti tostati.

Dock Street Walker

Dock Street Walker
Dock Street Walker

Si prosegue con un omaggio alla celebre serie The Walking Dead che tratta della cruenta convivenza tra zombie ed essere umani. Dal birrificio di Philadelphia, il Dock Street Brewing Company, arriva una birra il cui ingrediente speciale è un cervello di capra affumicato immesso direttamente in fase di mash.

La Dock Street Walker, una American Pale Stout ribattezzata ironicamente come “la birra più intelligente che tu abbia mai bevuto“, è una produzione dal gusto morbido e cremoso, arricchita da note terrose e mirtilli che conferiscono acidità e un tocco di “sanguinamento”. Il cervello di capra, che subisce un trattamento di affumicatura, conferisce le particolari e ricercate note affumicate.

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Birre con ingredienti di scarto animale

L’incubo delle birre particolari e strane naturalmente non si ferma a testicoli, cervelli e chissà quali altri orrori. La follia brassicola si è spinta fino all’utilizzo di caffè “alternativi”, che permettono al palato di scoprire sapori del tutto diversi. L’epoca della classica tostatura e macinatura dei semi di Coffea è ormai superata! Infatti il caffè utilizzato da questi “innovatori” della birra ha provenienze molto differenti rispetto al classico chicco.

Kopi Loewak De Molen

Luwak
Luwak

E’ il caso del caffè derivato dalle feci del Luwak, zibetto simile alla mangusta che produce il caffè più pregiato al mondo. Il Kopi Luwak (circa 800 € al kg) è un particolare tipo di caffè indonesiano, ricavato dalla digestione parziale delle bacche di caffè defecate.

Dal costoso Kopi Luwak, derivante purtroppo dal triste sfruttamento del piccolo mammifero, prende l’idea il micro-birrificio olandese Brouwerij de Molen. La realizzazione si chiama Kopi Loewak De Molen, una Coffee Imperial Stout aromatizzata al caffè, con scontate note tostate e leggeri sentori floreali.

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Kono Kuro

Elefante Thailandese
Elefante Thailandese

Se l’idea di una birra al caffè realizzata dalle feci del piccolissimo Luwak sembra inverosimile, che dire di una prodotta dagli escrementi del grandissimo l’elefante!

La copia del Molen, in versione rivisitata, arriva dal birrificio giapponese Sankt Gallen. La Coffee Stout realizzata dai nipponici usa come ingrediente particolare il Black Ivory, un costoso caffè prodotto dalle bacche defecate e non completamente digerite dai pachidermi thailandesi. La Kono Kuro, prodotta in edizione limitata nel 2013, è andata letteralmente a ruba!

Fenrir nr 26

Fenrir nr 26
Fenrir nr 26

Dal caffè defecato alle feci utilizzate come combustibile è un attimo! Le stranezze continuano col birrificio islandese Borg Brugghus. La proposta scandinava è la Fenrir nr 26, una Smoked IPA di 6 %vol, realizzata con malto affumicato attraverso il letame di pecora.

Ispirata alla mitologia norrena, Fenrir è un terrificante lupo scelto per uccidere il dio Odino durante gli eventi di Ragnarök, lo scontro finale tra le potenze della luce e quelle delle tenebre e del caos, in cui il mondo intero venne distrutto e completamente rigenerato. Ma sfortunatamente per il lupo la missione non andò a buon fine, in quanto venne ucciso da Viðarr figlio di Odino.

La Fenrir nr 26 è una birra dai sentori agrumati di pompelmo e un amaro deciso, arricchita da un carattere unico derivante dallo stravagante processo di affumicatura.

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La spina… dal cervo!

Cervo

Dopo le feci, utilizzati nei modi più fantasiosi possibili, c’è un altro macabro ingrediente sulla lista dei mastri birrai più eccentrici del mondo della birra, ovvero lo sperma di cervo.

La birra allo sperma di cervo è un’idea realizzata dal Choice Bros Brewing e servita al The Green Man Pub di Wellington in Nuova Zelanda.

Secondo il titolare, che la propone alla spina, è una birra dall’ottima schiuma e dalla piacevole cremosità simile al cioccolato. Una birra, che secondo il Publican Shannon Elvy, è dedicata a tutti coloro che vorranno celebrare l’addio al celibato!

Birre con affinità umane

Dopo gli ingredienti di origine animale, utilizzati per realizzare prodotti non semplici da definire, è la volta delle birre particolari oppure orrori da gustare (definitelo voi) di origine umana. Ovviamente non si troveranno birre da film horror, ma dei prodotti che hanno stretta correlazione con l’essere umano e non perché queste siano state realizzate dalla mano dell’uomo.

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Beard Beer

John Maier
John Maier

Tra le proposte più interessanti di quest’ambito c’è sicuramente la produzione del birrificio Rogue Ales di Newport, negli Stati Uniti. La Beard Beer, soprannominata birra barbuta, è prodotta con i peli della barba del mastro birraio John Maier.

Ma che sapore potrebbe conferire la barba alla birra? In realtà nessuno! La barba, infatti, è l’innesco della fermentazione di questa birra, in quanto il lievito cresce proprio sui peli del sig. Maier.

La Beard Beer è una Pale Ale da 5,6 %vol, dalla “folta” schiuma bianca e sentori fruttati che si bilanciano perfettamente all’amaro dei luppoli.

The Order of Yoni

The Order of Yoni

Naturalmente per la parità dei sessi, non poteva mancare la birra dal tocco femminile. Non trattandosi di barba come per il sig. Maier, si è usato dell’altro stratagemma per imprimere charme e femminilità tra le bollicine di questa birra.

Si tratta della produzione del birrificio The Order of Yoni, una birra a fermentazione spontanea. La Sour Ale è fermentata da un lactobacillo della flora vaginale, derivante, dopo l’attenta selezione, dalla modella Alexandra Brendlova. Oltre all’ingrediente bizzarro, la ricetta prevede anche l’utilizzo delle chips di rovere trattate col cognac.

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“Si può fare!”

Come spesso ribadito nella birra, sia la modernità che l’innovazione sono sempre ben accette, ma delle volte il nuovo può seriamente sconvolgere. Lo spirito avventuriero di tanti birrifici e mastri birrai che, nel produrre birre strane e particolari, si spingono oltre l’immaginario dovrebbe fare davvero riflettere.

Dottor Frankenstein (Gene Wilder)
Dottor Frankenstein (Gene Wilder)

Il fare birra è un arte nobile, che nella sua storia centenaria ha rappresentato vita e spensieratezza. Tuttavia se la ricerca all’unicità del gusto, unitamente al business, è sinonimo di mattanze, torture e soprusi verso gli animali, come se rappresentassero l’elisir perfetto da sorseggiare, probabilmente c’è qualcosa che non va! Probabilmente qualcosa è sfuggito di mano. Forse, sarebbe stato meglio rimanere fermi al malto e al luppolo tradizionali.

E’ l’incontro tra il gusto e il ponderato che fa la differenza tra una birra e una grande birra!

Buona birra a tutti.

Pastry Stout Beer: la dolce tendenza della nuova birra artigianale!

La birra artigianale deriva dal perfetto equilibrio di più ingredienti, forgiati a loro volta da un antica e complessa lavorazione che nel corso dei secoli si è via via perfezionata grazie a tecniche produttive sempre più efficienti e performanti. Si tratta dunque di una bevanda particolarmente datata, che nonostante la veneranda età non risulta mai sorpassata o scontata. Al contrario, grazie anche al manifestarsi della “Primavera della Birra”, gli appassionati del boccale hanno avuto modo di scoprire svariati stili, caratterizzati da sapori e profumi sempre nuovi e ricercati. E proprio da questa continua ricerca gustativa, scaturiscono espressività mai concepite prima per questa bevanda. Sapori che per l’appunto spaziano dalle verdure, agli ortaggi e perfino ai dolci! Tuttavia non parliamo dei gusti dolci del malto, sperimentati per secoli nella produzione birraia, bensì di caratteri zuccherati e raffinati comuni nella pasticcieria e perfettamente reinterpretati nella nuova tendenza delle Pastry Stout Beer.

Alla scoperta delle Pastry Stout Beer

Le Pastry sono birre estremamente alcoliche, basate sulle Imperial Stout o Imperial Porter, arricchite da ingredienti inusuali nella birrificazione, quali dessert, torte, gelati e derivati. Non c’è un limite ben preciso a questi componenti. Inoltre non si parla ne di essenze ne aromi in polvere, ma di veri e propri prodotti raffinati.

muffin e mirtillo

Ma come gestire tali ingredienti nella produzione birraia? Le aggiunte sono utilizzate sia in cotta, che dopo la fermentazione (come un dry-hopping insomma) proprio per imprimere gli autentici sapori dei composti supplementari. Di conseguenza si svilupperanno gusti e aromi che spaziano dal burro di arachidi, al cioccolato. Ma si percepiscono anche accenni che ricordano torte, biscotti, brownies, waffle, sciroppo d’acero e caffè.

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Si tratta tuttavia di birre molto particolari e, per questo, spesso criticate dai puristi del settore. Giudicate soprattutto per la complessa struttura organolettica, in cui si sviluppano aromi innaturali e decisamente differenti dai soliti canoni birrai.

Tra birra e dolce, l’obiettivo è l’equilibrio!

Le Pastry Beer, dunque, possiedono complessi olfattivi e gustativi davvero estremi e solitamente non comuni per una birra. Sensazioni però apprezzate da tanti appassionati del boccale, incuriositi e affascianti sempre più da stili spinti e per certi versi “contro-mano”. Esiste ovviamente anche chi le definisce “americantate” destinate a finire nel dimenticatoio, perché incapaci di competere con gli intramontabili stili che hanno fatto la storia della birra.

Tuttavia è interessante notare il dietro le quinte neomelodico di questo strano accostamento, capace di unire la tradizione birraia a quella dolciaria. Per l’appunto avevamo fatto un esempio qualche tempo fa con la Pastry Stout PetrAle, realizzata nel Brew Pub reggino “Gli Sbronzi”.

In quell’occasione il mastro-birraio Demetrio Crea, in collaborazione con Davide Destefano titolare della famosa Gelateria Cesare, creò un particolare connubio con un dolce tipico della tradizione dolciaria reggina, realizzando una birra alcolica, piuttosto bilanciata e dal finale secco.

Pastry Stout Beer PetrAle

Per l’appunto l’equilibrio, in queste particolari birre difficili da gestire, rimane la grande sfida da superare. Va ricordato, per onor del vero, che la struttura delle Pastry Beer, si fonda comunque su Imperial Stout e Imperial Porter, colossi importanti del mondo brassicolo elegantemente caratterizzati da profondi sapori intensi e tostati.

Di conseguenza gli ingredienti “extra-brassicoli” dovrebbero essere presenti e distinguibili, ma non coprenti o troppo dominanti. Questi per l’appunto devono tendere a valorizzare sempre la base della birra, senza opprimere i toni che la struttura gustativa originaria può regalare.

Per concludere, non sono sicuro che le Pastry Stout Beer siano prodotti destinati a durare per sempre. Tuttavia sono convito che il complesso mondo birraio possiede davvero potenzialità illimitate e la continua ricerca del gusto riserva sempre grandi esperienze, capaci di ravvivare il tono frizzante e vivace della birra artigianale!

Buona birra a tutti.

Il pH della birra: i numeri che contano nella produzione tra i fornelli di casa

Il pH nella birra ha un ruolo fondamentale, che nell’ingranaggio produttivo concorre alla buona riuscita della cotta. Misurare il pH fin dall’inizio della produzione, infatti, fornisce un chiaro monito sull’ambiente in cui stazionano gli enzimi responsabili della trasformazione degli zuccheri nel mosto. Questi, affinché svolgano bene il proprio lavoro, necessitano obbligatoriamente di un contesto adeguato, il quale garantirà un risultato finale qualitativamente superiore. Tuttavia la riuscita di una buona birra non dipende solo ed esclusivamente dal Mash, bensì da tutti gli steps che completano la produzione e quindi bollitura, fermentazione e maturazione, a loro volta caratterizzati da un pH che ne determinerà la corretta esecuzione. Ma sostanzialmente qual è o meglio quali dovrebbe essere i valori di pH a cui fare attenzione lungo tutta la catena di produzione della birra fatta in casa?

Indice

I numeri che contano: Il pH nella birra dal Mash alla bottiglia

Come ampiamente discusso, il pH rappresenta uno degli aspetti più importanti nella produzione della birra. A tale proposito in rete si trovano tante e confusionarie opinioni sul giusto carattere acido o basico della cotta, limitate principalmente sulla complessa fase dell’ammostamento. Ciò nonostante, come anticipato, un buon risultato non dipende solo dal Mash, ma da tutto il processo di produzione (compresa la maturazione in bottiglia), caratterizzato a sua volta da differenti situazioni di pH.

catena produzione

Ma niente paura! Gestire il pH durante le fasi di produzione casalinga è abbastanza semplice, grazie all’impiego di acidi alimentari (acido lattico, citrico, fosforico) e attraverso un’attenta selezione dell’acqua di ammostamento. Ma sebbene l’evoluzione ha reso possibile il controllo del pH nel migliore dei modi, spesso ci sono parecchie incertezze su come effettuare la misurazione.

Ebbene, per la corretta determinazione del pH nei diversi contesti della produzione è necessario uno strumento adeguato e funzionale (niente cinesate quindi, vedi “Gli indispensabili” nella sezione consigli per gli acquisti). Inoltre la misurazione deve, convenzionalmente, avvenire sempre a temperatura ambiente (25 °C). Questo per due motivi:

  • Il pH varia in funzione della temperatura;
  • Gli strumenti generalmente tendono a danneggiarsi se sottoposti a temperature troppo elevate.

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Il pH durante il Mash

In fase di ammostamento avviene la scomposizione degli amidi in zuccheri più o meno complessi. Tale lavoro è svolto dagli enzimi α-amilasi e β-amilasi, i quali per lavorare in modo ottimale necessitano di un pH compreso tra 5.2 e 5.5 (misura effettuata a temperatura ambiente).

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ph della produzione di birra nel mash

Nella parte più bassa del range si andrà a favorire l’azione della β-amilasi, mentre nella parte più alta si agevolerà l’azione della α-amilasi. Valori di pH superiori o inferiori a questo intervallo tendono a inibire gli enzimi, con conversioni più lente o tendenzialmente non finalizzate. Un pH eccessivamente alto, inoltre, incentiva la solubilizzazione dei polifenoli dalle trebbie, con potenziali problemi di astringenza, specialmente in mash con elevata concentrazione di malti scuri.

Va chiarito però, che nella determinazione di tali livelli di pH nell’ammostamento, la qualità dell’acqua iniziale si rivela di fondamentale importanza. A incidere sul Mash, infatti, non è tanto il pH iniziale dell’acqua (solitamente intorno ai 7 punti) e quindi tendenzialmente irrilevante, quanto la concentrazione dei bicarbonati disciolti perché fungono da tampone alla discesa del pH durante il Mash In.

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Il pH nello Sparge

Il pH in questa fase non ha più rilevanza sul lavoro degli enzimi, precedentemente disattivati durante il Mash-Out. Tuttavia il valore di pH nell’acqua di Sparge, specie se troppo alto, si rivela ugualmente importante per due motivi:

  • Favorisce l’estrazione di tannini, con possibili problemi di asprezza e astringenza sulla birra finale;
  • Unendosi al pH dell’ammostamento, finirebbe inevitabilmente per influenzare il carattere acido del mosto.

A tale proposito, per non creare grosse variazioni di pH nell’ammostamento, è bene acidificare l’acqua di Sparge affinché raggiunga un valore di pH inferiore a 6 punti (diciamo pure intorno ai 5.5), misura effettuata sempre a temperatura ambiente (25°C). Questo accorgimento eviterà di ritrovarsi successivamente in bollitura un pH complessivo troppo elevato.

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Il pH nella Pentola di Bollitura

Poco approfondito in rete, ma di grande importanza, è il pH che si raggiunge nella bollitura del mosto. Tale valore è, ovviamente, la diretta conseguenza del mosto d’ammostamento che confluisce con l’acqua di sparge. Il range ottimale di pH in questa fase, da cui dipende la coagulazione delle proteine, l’estrazione dei polifenoli dai luppoli e l’imbrunimento del mosto, è compreso tra 5.2 e 5.3.

ph della produzione di birra in bollitura

Naturalmente ritrovarsi in pentola un valore di pH compreso in una finestra così ristretta non è sempre scontato. Questo perché durante l’ammostamento il pH generalmente tende a salire leggermente. Inoltre solitamente si preferisce praticare un mash su valori di pH più alti per favorire il lavoro della α-amilasi.

A tale proposto, aggiungere una piccola dose di acido a inizio bollitura potrebbe favorire il raggiungimento di un pH adeguato. Questo aiuterebbe a evitare un eccesso di proteine, scongiurando quindi problemi di torbidità sia a freddo (chill haze) che permanente (permanent haze). Ma non solo! Un pH corretto garantirebbe, inoltre, una migliore luppolatura, che consentirebbe di avere un amaricatura più morbida ed elegante (il pH minore evita l’eccessiva estrazione degli IBU), ed eviterebbe l’eccessivo imbrunimento del mosto.

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Il pH durante la Fermentazione

A fine bollitura il mosto dovrebbe avere un pH che si attesta intorno ai 5.1-5.2. Tale valore, già dopo alcune ore dall’inoculo del lievito e fino al termine della fermentazione, tenderà a scendere ulteriormente. Questo è dovuto al lievito che, consumando aminoacidi (generalmente frenano la discesa del pH), produce diverse tipologie di acidi.

birra in fermentatore

Al termine del periodo fermentativo il pH dovrebbe trovarsi in un range compreso tra 4-4.5 e rimanere stabile. Tuttavia va precisato che non esiste un range ottimale di pH a fine fermentazione, in quanto il valore potrebbe dipendere sia dagli ingredienti in ricetta che dal lievito.

Può succedere infatti che a fermentazione conclusa il pH aumenti. Questo potrebbe indicare un contatto troppo prolungato del lievito con la birra, una possibile autolisi delle cellule del ceppo oppure un eccessivo dry-hopping in fermentazione. Ben differente è invece il verificarsi di un pH troppo basso (sotto 4), che potrebbe indicare una probabile contaminazione batterica.

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Il pH finale della birra in bottiglia

Finalmente il percorso del pH si completa in bottiglia e, se nel corso della catena produttiva sono stati rispettati tutti i range, nel bicchiere la qualità della nostra birra risulterà di gran lunga elevata. Per questo motivo è fondamentale controllare ed eventualmente correggere il pH fin dalle prime fasi di produzione, facilitando di fatto il lavoro di conversione degli enzimi e di metabolizzazione del lievito.

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Bicchiere di birra

Ma quanto dev’essere il pH finale della birra? Il pH finale di una birra “ordinaria” deve avere un valore compreso tra 4 e 4.5, tenendo presente che la misura va effettuata sempre a temperatura ambiente (25 °C). Ma su cosa incide un pH finale corretto? Un corretto pH influisce su:

  • Colore della birra. E’ vero che il colore nella birra dipende dagli ingredienti, ma arrivare in bottiglia con un pH basso garantirà una tonalità più brillante nella birra finale;
  • Tenuta di schiuma: Ovviamente la schiuma è garantita da tutta una serie di fattori, ma prestare attenzione al pH non può che giovare alla buona tenuta;
  • Intensità maltata: Una corretta gestione del pH finale garantisce una migliore espressività dei malti, in quanto valori di acidità troppo elevati tendono a coprire le caratteristiche aromatiche dei cereali.
  • Percezione amaricante: Livelli di pH troppo alti disegnano un profilo amaricante ruvido e sproporzionato alla struttura organolettica della birra, mentre un pH più basso favorirà una sensazione amaricante decisamente delicata ed elegante.

A fermentazione conclusa il pH non è più modificabile, per cui come disse Giulio Cesare “alea iacta est” ovvero il dado è tratto. Di conseguenza se ci ritroviamo un pH che si aggira intorno ai 4-4.5 possiamo affermare che la birra è riuscita, ovviamente con i pregi e i difetti della produzione! Altri livelli di pH, invece, potrebbero indicare una fermentazione non gestita correttamente (livelli alti) oppure una possibile contaminazione del mosto (livelli bassi). In questo caso… sbagliando s’impara!

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Buona birra a tutti.

Opera Baladin: la birra gastronomica del Teku rivela il suo elegante sapore!

Ricordate il Baladin TeKu Club, l’esclusivo club realizzato per tutti gli amanti del mondo Baladin? Ebbene, in questa trovata del birrificio di Piozzo (CN), tra le particolarità del kit, si parlava di una nuova e misteriosa birra gastronomica da 75cl. La curiosità, ovviamente, ha fatto viaggiare la fantasia sulla birra top secret, perché nulla è trapelato da casa Baladin. Ma cosa hanno trovato coloro che hanno acquistato il box TeKu? Finalmente il mistero è staro svelato lo scorso 17 marzo. Il sipario si è aperto e lo spettacolo del palcoscenico birraio ha accolto Opera, l’elegante, armoniosa e complessa birra realizzata con prezioso aceto Baladin. Ma si sa, dietro ogni opera c’è una storia, che ne ispira la trama e ne racchiude l’essenza. Quale sarà l’epopea di Opera Baladin?

La storia di come nasce un’opera

Ispirata alle sinfonie musicali dove l’unione di una moltitudine di note, si fondono in un’unica opera armoniosa, questa birra racconta la sua storia attraverso l’amicizia di due artigiani, Andrea Bezzecchi e Teo Musso.

 botti acetaia San Giacomo

Andrea Bezzecchi è un produttore di aceto Balsamico Tradizionale DOP e di altri aceti a lunga fermentazione. Nella sua acetaia San Giacomo, ospitata nella Corte Fragosa a Novellara (Reggio Emilia), custodisce le botticelle che conservano il prezioso liquido, abitate da operosi e naturali acetobatteri. Teo Musso, invece, è il fondatore di birra Baladin, con la quale, da sempre, ama sperimentare senza porre mai limiti all’esplorazione dei gusti.

Attratto dall’idea di realizzare dalle sue birre un aceto, Teo Musso interpella Andrea Bezzecchi, il quale accetta la sfida di trasformare, nella sua acetaia, una birra Baladin (in realtà non solo una) in un aceto che per legge prende il nome di “aceto di malto”. 

Negli anni gli esperimenti si susseguirono, con la realizzazione di prodotti favolosi e intriganti. Tuttavia nella mente innovativa di Musso iniziava a balenare l’idea di dare una forma a questo particolare percorso. Decide quindi di creare una birra gastronomica che sia rivolta alla ristorazione. Settore a cui Baladin deve gran parte del suo successo, in quanto ha fornito il giusto supporto per far capire la potenzialità della birra artigianale servita in abbinamento al cibo.

La sfida

Realizzare una birra gastronomica di certo non è impresa semplice. La sfida, infatti, era di proporre una birra nuova, utilizzando una tecnica unica. Una birra che esprima profumi e gusti capaci di stimolare la fantasia degli chef e di chi propone, al tavolo dei ristoranti, gli abbinamenti perfetti.

bottiglia opera baladin

Non si tratta dunque di una birra da abbinare a un determinato cibo o piatto, ma una birra che sappia ispirare e che diventi, a tutti gli effetti, un prodotto gastronomico. Così, tra le differenti varianti di aceto, ne venne scelta una con caratteristiche di dolcezza, eleganza, pulizia e complessità aromatica del tutto sopra le righe. Mentre con Palli, lo storico braccio destro di Teo in sala cotte, si sceglieva una birra adatta a creare un inedito blend.

Le prove furono fatte prima su piccoli lotti, che diedero finalmente il risultato tanto agognato. Così, nella bufera di neve di una giornata d’inverno, i due partirono alla volta di Novellara dove ad attenderli c’era Andrea e una botte di aceto di birra Baladin. Il prezioso liquido, lungamente affinato in botte, venne unito la sera stessa nel tino di fermentazione perché possa, nei giorni successivi, completarsi con la birra e diventare Opera, la birra gastronomica.

Il percorso organolettico disegnato nell’Opera Baladin

birra con posate

Realizzata con malto d’orzo, luppolo e lievito, Opera Baladin è impreziosita dalla sapiente aggiunta di aceto di malto (da birra Baladin). Nel calice si presenta di color rame intenso, elegantemente esaltato da un fine perlage e un cappello di schiuma leggera ed evanescente, di tonalità bianco velato. 

Al naso, risultano evidenti accenni di pasticceria e di panettone candito. Sentori resi piacevolmente freschi da una nota balsamica di aceto di birra, delicato e profumato di cereale.

Al primo sorso stupisce per la sua pulizia e complessità di aromi. La nota acetica si presenta subito accompagnata da dolci sentori di paste secche e di malto. In chiusura, a completare il percorso, si giunge a una perfetta e pulita sfumatura amaricata, leggermente tannica e legnosa, riconducibile alle botti in cui l’aceto di malto è stato lungamente affinato.

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Nota tecnica

Botte birra opera baladin

Opera non è una birra rifermentata in bottiglia! A differenza delle birre in bottiglia di Baladin, Opera, per ragioni tecniche, non subisce il processo di seconda fermentazione al fine di evitare un eccessivo sviluppo della componente acetica.

La birra di base è unita all’aceto di birra a due giorni circa dal termine della fermentazione alla temperatura di 25°C. Questo consente di poter sfruttare la CO2 (anidride carbonica) prodotta durante il processo fermentativo, per saturare il tino di fermentazione e inibire, di conseguenza, la crescita degli acetobatteri, presenti nell’aceto. 

Al termine della fermentazione, la birra è travasata in un tino di maturazione per tre settimane alla temperatura di 0°C. Questo periodo di riposo, durante il quale si effettuano accurati spurghi, permette una naturale chiarificazione e l’eliminazione della biomassa residua (fecce).

Al momento del confezionamento, non vengono aggiunti zuccheri né lieviti necessari per la rifermentazione, concentrando l’attenzione a non avere ossigeno residuo all’interno delle bottiglie che causerebbe lo sviluppo degli acetobatteri.

Fonte Baladin

Buona birra a tutti.


Monaci Trappisti: l’assenza di vocazione nuoce alla birra dei monasteri!

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La birra trappista è considerata da sempre un’icona del bere di qualità. Prodotta secondo rigide regole, che ne garantiscono dopo secoli la discendenza monastica, la birra dell’ordine dei monaci Cistercensi della Stretta Osservanza rischia di perdere irrimediabilmente la propria identità. La causa di questo problema sembrerebbe essere l’assenza di vocazione e quindi il ricambio generazionale dei monaci trappisti, in quanto i giovani, assorbiti da un mondo dominato dai social network e dalla visibilità, sono meno attratti dalla vita ecclesiastica fatta di fede, rinunce e silenzio.

Sempre meno monaci trappisti producono birra

Notre-Dame d'Orval
Notre-Dame d’Orval

E’ quanto emerge dal racconto di Fabrice Bordon, brand ambassador di Chimay, intervistato dal Wall Street Journal, che riferisce: “Il nostro abate scherza sul fatto che una volta c’erano 15 monaci, abbastanza per una squadra di rugby, mentre ora ce ne sono solo 12, buoni per una squadra di calcio più una riserva“.

L’attenzione sull’antica birra prodotta dai monaci trappisti arriva dopo la notizia del marchio Achel, il quale ha perso l’appartenenza al particolare ordine monastico. La birra trappista, infatti, per essere considerata tale, deve rispettare alcuni requisiti imprescindibili tra loro. Nello specifico:

  • Essere prodotta all’interno delle mura di un Monastero Trappista. L’impianto dunque deve trovarsi obbligatoriamente nella struttura;
  • La supervisione deve spettare ai monaci. La birra teoricamente può essere prodotta anche da un birraio estraneo all’ordine monacale, ma le direttive devono essere impartite sempre e solo dai monaci;
  • Non deve sussistere lo scopo di lucro. I proventi della vendita della birra non devono produrre ricchezza, ma devono provvedere al fabbisogno del monastero.
logo trappista

A tale proposito, col trasferimento dei monaci trappisti della comunità di Achel nell’abbazia di Westmalle, decade uno dei tre requisiti fondamentali per un birrificio trappista. Per cui, nonostante la birra continuerà la produzione con la qualità di sempre – come riferisce padre Nathanaël Koninkx -, non sarà più sotto la diretta supervisione dei monaci. Di conseguenza Achel non potrà più utilizzare il logo Authentic Trappist Product in etichetta.

Cosa non sta funzionando?

Senza Achel, l’International Trappist Association (l’associazione che assegna il marchio Authentic Trappist Product) annovera attualmente undici produttori di birra trappista. La Trappe e Zundert nei Paesi Bassi, Chimay, Orval, Rochefort, Westmalle e Westvleteren in Belgio, Spencer negli Usa, Engelszell in Austria, Tynt Meadow in Inghilterra e Tre Fontane in Italia.

Ma cosa non sta funzionando? Nel tentativo di mantenere i ritmi di un mondo che segue una direzione diametralmente opposta alla rigida vita dei monaci trappisti, le abbazie hanno parzialmente evoluto il loro approccio alla comunicazione e al marketing.

L’abbazia di Saint Joseph in Massachusetts ha iniziato a promuovere i propri prodotti sui social, mentre quella di Saint Sixtus ha creato una piattaforma di e-commerce. Invece la comunità di Westvleteren, da sempre nota per la vendita di birra presso il monastero, attiva la consegna a domicilio.

Si reinventa anche Notre-Dame de Scourmont, che da oltre 150 anni produce Chimay, la quale ha predisposto alcune celle per turisti in cerca tranquillità, anche se Fabrice Bordon puntualizza “non è un hotel e bisogna comunque rispettare le regole“.

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caldaia birrificio

Mutamenti dunque impensabili per il rigido ordine dei monaci Cistercensi della Stretta Osservanza, che tuttavia non sembrano risolvere il problema. Serve nuova linfa alla produzione birraia, considerando che il lavoro è ormai in mani laiche, mentre i monaci dirigono le operazioni e le decisioni finali.

Ma soprattutto sono necessarie forze giovani, che stiano dietro al complesso e talvolta ostile mondo della birra. Un settore popolato anche da produttori sleali che per ottenere notorietà e prestigio utilizzano impropriamente la figura del monaco sulle proprie etichette.

Tuttavia come sottolinea Manu Pawels, responsabile vendite del monastero belga di Westmalle: “I monaci credono in Dio, e sono sicuri che sarà Lui a risolvere il problema“.

Buona birra a tutti.

Trupiana: dalle perle di Calabria arriva la birra alla cipolla rossa di Tropea

Il viaggio nel complesso e sconfinato mondo della birra artigianale fa tappa nuovamente in Calabria. Regione meravigliosa dell’antica Magna Grecia e patria d’innumerevoli doti culturali, territoriali e culinarie. Trovare la tradizione e l’unicità nei prodotti di questa terra non è certamente difficile, basti pensare al bergamotto, al peperoncino, alla nduja, alle specialità della Sila oppure alla delicata cipolla rossa di Tropea. E proprio da quest’ultima perla del territorio calabrese inizia il percorso che ci porta alla birra artigianale. Nasce infatti a Tropea, in uno dei borghi più belli e magici d’Italia, Trupiana, la birra artigianale che tra i suoi ingredienti annovera la famosa e prelibata cipolla rossa a marchio I.G.P.

Cipolla di Tropea

Ma come nasce una birra così particolare? “L’idea – ci rivela Antonio Lorenzo, artefice della Trupiana – nasce dal ritrovamento di un vecchio manoscritto appartenuto a mio nonno, Saverio Simonelli, in cui vi era la ricetta di un’antica birra al gusto di cipolla. Da qui, l’idea di riportare in vita la birra secondo gli antichi metodi di produzione annotati sul manoscritto.”

Trupiana: la birra realizzata con la cipolla rossa di Tropea a marchio I.G.P.

Vetrino birra trupiana

Trovandoci in Calabria, protagonista di questa storia, unitamente alla birra, non poteva che essere una delle eccellenze regionali per apoteosi, ovvero la cipolla rossa di Tropea. Un prodotto unico, caratterizzato sia dalla dolcezza che dalla particolare eleganza decisamente sopra le righe. “La Trupiana – rivela Lorenzo – è stata riconosciuta e autorizzata all’utilizzo del marchio da parte del Consorzio di Tutela della I.G.P. Cipolla rossa di Tropea, presieduto da Giuseppe Laria.

Si tratta di una birra dal particolare prestigio quindi, realizzata attraverso un’attenta ricerca compiuta da Antonio Lorenzo e suo padre, in collaborazione col maestro birraio Eraldo Corti, proprietario del birrificio ‘A Magara, già vincitore di molti premi e riconoscimenti in ambito brassicolo.

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imbottigliamento birra trupiana

La nostra – continua Lorenzo – è una birra ambrata, non filtrata, caratterizza da una schiuma color avorio. Una birra nella quale si avvertono toni di caramello e profumo di fiori che si incontrano con una sfumatura di cipolla rossa. Il sapore è semplice, dolce , ma non stucchevole, grazie al retrogusto del caramello e alle note di cipolla. Inoltre, per soddisfare i gusti di tutti i consumatori, abbiamo prodotto anche una variante della Trupiana, ovvero la Trupiana Pils. Una birra color paglierino con schiuma bianca e persistente, dal profumo di crosta di pane con leggere note di lievito e dal finale estremamente bilanciato. Fresca e leggera è particolarmente indicata per l’estate.

Entrambe le versioni dalla gradazione alcolica di 4,5 % vol, disponibili sul sito ufficiale della Trupiana entro fine mese, non saranno solo un’edizione limitata – come rivela lo stesso Antonio Lorenzo – ma produzioni destinate a durare nel tempo.

Buona birra a tutti.


Unionbirrai: il Decreto Sostegno Draghi non penalizzi la birra artigianale!

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Ci ritroviamo ancora una volta con l’Italia blindata, avvinghiata in una morsa che ormai inizia a essere troppo stretta. La terza ondata del Covid-19 spinge il Governo a prendere duri provvedimenti in previsione del periodo pasquale, che limiteranno di fatto persone e attività commerciali. Sembra una storia già vista, infatti, l’attuale manovra ricorda le azioni del precedente Governo durante il periodo natalizio. Tuttavia questa volta a capo dell’esecutivo ci sarà Mario Draghi e le speranze che gli italiani ripongono in lui non sono di certo poche. Per l’appunto, tra le novità pensate dall’attuale Governo c’è il nuovo Decreto Sostegno da 32 miliardi di Euro, al varo entro la fine di questa settimana, in cui si auspica che gli aiuti previsti arrivino in modo concreto e adeguato alle categorie più penalizzate, tra le quali si annovera anche la filiera brassicola artiginale.

Perplessità e speranze sul nuovo Decreto Sostegno

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Unionbirrai, l’Associazione dei piccoli birrifici indipendenti, è molto attenta al clima d’incertezza che verte sulla filiera brassicola artigianale. Situazione in cui la stessa Associazione non nasconde la preoccupazione alle numerose indiscrezioni contrastanti sulla bozza del nuovo Decreto Sostegno.

La birra artigianale italiana, infatti, rischia di subire l’ennesimo devastante colpo. Questo, se gli aiuti e la modalità di calcolo delle perdite del nuovo decreto saranno inadeguate rispetto al calo di fatturato del settore brassicolo artigianale. Un comparto completamente dimenticato dai precedenti decreti nonostante rappresenti un’eccellenza del made in Italy.

Conforta tuttavia il Ministero dello Sviluppo Economico, il quale smentisce le prime notizie che parlavano del calcolo dei ristori sulla base della perdita di fatturato nelle mensilità di gennaio e febbraio.

Sostegni adeguati alle perdite del 2020 rispetto al 2019

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Dall’inizio della pandemia abbiamo sempre dialogato con i tavoli istituzionali per portare alla loro attenzione le nostre esigenze, i danni subiti in perdita di prodotto e il calo di fatturato – ha commentato Vittorio Ferraris, direttore generale Unionbirrai -. Parallelamente abbiamo lavorato per creare nuove opportunità tattiche sul breve termine e strategiche sul lungo termine, monitorando costantemente le problematiche fiscali e doganali, supportando tutti. Le notizie contrastanti in merito al Decreto Sostegno ci preoccupano, perché si rischia nuovamente che venga penalizzato un comparto che per un anno intero ha subito drastici cali di fatturato.

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Ovviamente per avere la certezza sugli effettivi provvedimenti del Decreto Sostegno bisognerà attendere il testo ufficiale. Testo nel quale Unionbirrai si augura che, oltre al superamento dei criteri legati al codice Ateco, le modalità di accesso ai contributi si rivelino utili ad aiutare il settore.

Settore provato dalle restrizioni imposte agli esercizi di somministrazione, che da circa un anno si ritrova a fare i conti con grossi cali di fatturato. Un comparto retto solo grazie agli stessi produttori, fortemente motivati a superare la crisi, e sostenuto dagli sforzi di ristoratori e publican che hanno saputo adeguarsi e reinventarsi. Tuttavia una parte del merito va anche ai fedeli consumatori di birra artigianale che, per fortuna, non hanno rinunciano al bere di qualità.

Siamo sollevati che il Mise abbia smentito la base bimestrale per il calcolo dei ristori. Auspichiamo, quindi, che i risarcimenti previsti siano effettivamente definiti sulle perdite dell’intero anno 2020 rispetto al 2019 – ha proseguito Ferraris -. Noi comunque non ci fermiamo. Continueremo a dialogare con le istituzioni per far sentire la voce della categoria, creando iniziative che possano aiutare il comparto a risollevarsi moralmente ed economicamente.

Fonte Unionbirrai.

Buona birra a tutti.

Birra gratis contro il Covid-19: Così Tel Aviv incentiva i vaccini tra i giovani

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Finalmente abbiamo un vaccino contro il Covid-19, ma la fine di quest’incubo sembra ancora troppo lontana! Tra polemiche e titubanze, la ricerca scientifica ci ha regalato (si spera) la chiave per sconfiggere il Coronavirus. Un virus che ha letteralmente distrutto gli assetti sanitari, economici, politici e sociali dell’intero mondo. Eppure nonostante il vaccino, le campagne d’immunizzazione, che dovrebbero letteralmente galoppare, procedono inspiegabilmente a rilento. Colpa della politica? D’incomprensibili sotterfugi? Di sicuro non è questa la sede opportuna per discuterne, ma è comunque necessario riuscire a trovare un’immunità per placare i contagi e riprendere la cara e ormai dimenticata normalità. A tale proposito ogni Stato si è organizzato secondo le proprie esigenze, ma c’è qualcuno che ci ha messo anche un pizzico di creatività. Succede a Tel Aviv, metropoli Israeliana e meta turistica della costa Mediterranea, dove in appositi bar è possibile vaccinarsi ricevendo un buono omaggio per bere birra gratis.

Lecca lecca dopo il vaccino? Macché, a Tel Aviv si riceve birra gratis!

Non si tratta di uno scherzo, ma di una notizia pubblicata qualche tempo fa dal Jerusalem Post, importante quotidiano israeliano, il quale riportava come il comune di Tel Aviv abbia incentivato i giovani a vaccinarsi attraverso bar pop-up, con postazioni sparse per la città. “Se i giovani non verranno a farsi vaccinare, i vaccini verranno da loro“, affermava Maya Nouri, membro del consiglio comunale di Tel Aviv e titolare del portafoglio dei giovani residenti.

lecca lecca

Le postazioni, accessibili senza appuntamento e gratuitamente, sono state organizzate in collaborazione con le Associazioni dei ristoranti e della vita notturna, particolarmente attente nel coinvolgere la popolazione israeliana in una campagna vaccinale incisiva e diretta verso un auspicato ritorno alla normalità.

Oggi, soprattutto dopo aver visto l’impatto positivo delle vaccinazioni, – aggiungeva Shlomi Dayan, presidente della Israeli Bar and Nightclub Association – tutti capiscono che il modo più veloce e sicuro per tornare alla vita pre-coronavirus, per godersi i bar e ballare nei locali notturni è andare a farsi vaccinare.” Lo Stato d’Israele, infatti, è tra le nazioni con la più alta percentuale di vaccinati, in cui almeno il 46% della popolazione ha già ricevuto la prima dose del vaccino.

Fonte The Jerusalem Post

E’ forse la strada giusta verso la normalità?

Negli ultimi mesi si è parlato tanto, forse troppo, di vaccini, vaccinazioni e strane teorie complottiste che potrebbero celarsi dietro questa piaga mondiale. In effetti giornali e Talk Show non hanno parlato d’altro, con personaggi che forse hanno ben poca cognizione di come funzioni e muti un Coronavirus. Ma si sa, the show mas go on!

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giornali ripiegati

Purtroppo, tutto questo chiacchiericcio non ha fatto altro che annebbiare ulteriormente le idee della popolazione, con disinformazione e ripercussioni negative sulla campagna vaccinale. Ciò non sminuisce ovviamente le responsabilità dei vari Governi, i quali, attraverso una cattiva gestione, hanno concretizzato davvero ben poco. Tuttavia il peso di un anno difficile e colmo di divieti inizia a farsi sentire, generando di fatto situazioni controproducenti che mettono a repentaglio la salute della collettività.

brindisi-tricolore

Di conseguenza abbiamo da una parte la disperata voglia di normalità, dall’altra una gestione disorganizzata e dall’altra ancora la disinformazione e la paura nei confronti di un vaccino, il quale attualmente rappresenta l’unica forza che potrebbe aiutare la popolazione a risollevarsi.

Tuttavia bisogna chiedersi: Quanto deve ancora durare questo clima di sconforto e d’incertezza globale? Quanto bisogna attendere prima di camminare per strada senza mascherina, salutarsi, abbracciarsi e baciarsi senza timore?

Il vaccino dunque è un arma fondamentale nella lotta contro questo virus! Quindi è il momento di fare davvero sul serio, mettendo da parte parole, pregiudizi, preferenze politiche e qualsiasi altro genere di conflitto. Servono azioni concrete, con gli Stati disposti a tutto pur di tornare alla normalità. Per cui se bere birra gratis è un mezzo per arrivare alla serenità di qualche anno fa, allora ben venga e standing ovation con trenta minuti d’applausi per la Nazione che ci ha pensato!

Buona birra a tutti.

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