Il Foglio qualche giorno fa ha pubblicato un articolo intitolato “Malvasia di Bosa o Verdiso trevigiano per le nuove generazioni malate di birra”. La pubblicazione fa parte della rubrica “Camillo e Corrado nell’Italia del Vino” a cura di Camillo Langone e Corrado Beldì. Tra le parole dei due amici, s’intuisce un botta e risposta incentrato sul consumo di birra in Italia. Una tendenza in crescita che supera di gran lunga quella del vino, ormai apprezzato solo da pochi “galantuomini” in via d’estinzione.
In particolare si fa riferimento al consumo di birra da parte dei giovani che, presi dalla movida notturna, sono soliti “attaccarsi alla lattina” e ubriacarsi. Ma la polemica s’inasprisce anche contro le giovani donne che, in vesti Fantozziane si lasciano andare al “rutto libero”, perdendo di fatto grazia e femminilità.
Il denigrante articolo che definisce “squallida cervogia” la birra, bevanda che come il vino affonda le sue radici nella cultura dell’uomo, ha suscitato ovviamente sdegno. A controbattere è stato Andrea Soncini, Consigliere Direttivo Unionbirrai, che in una lettera indirizzata a Claudio Cerasa, Direttore de Il Foglio, sottolinea l’inadeguatezza delle parole dei due amici di penna ricordando di fatto non solo l’essenza di questa bevanda, ma anche cosa rappresenta per l’Italia il consumo di birra.
Lettera di risposta Unionbirrai
Al Preg.mo Direttore Claudio Cerasa
Ho letto, non senza pena, l’articolo, in forma di scambio epistolare, dal titolo “Malvasia di Bosa o Verdisio trevigiano per le nuove generazioni malate di birra”.
I due amici di penna, Camillo e Corrado, pur tentando di elevare il dialogo con la retorica delle visioni, tanto idilliache quanto stereotipate, delle sorseggiate al tramonto, della musica jazz e degli immancabili formaggi erborinati, giungono, in buona ed ultima sostanza ad una sola e sconsolante conclusione, tanto banale quanto becera, ovvero che il vino sarebbe la bevanda dei “galantuomini”, la birra quella invece dei giovani sguaiati e ubriachi, e in particolare delle giovani donne “che ruttano”.
Già dissertare di birra, al singolare, come se fosse una e tutta uguale, è segno di involuto appiattimento, o meglio pigra ignoranza, ancor più stridente in bocca a pretesi intenditori.
I vini sono molti, anzi moltissimi, e, allo stesso modo, tante, anzi tantissime, sono le birre.
Nessuno contesta, fatta questa alquanto ovvia premessa, che i vini rappresentino un importante patrimonio culturale e, anzi, potremmo dire “esistenziale”, del nostro Paese, nei suoi poliedrici territori. Ma lo stesso, oramai da oltre vent’anni, vale, sempre più, anche per le birre, o per lo meno per quelle birre che, con il riconoscimento della legge, si definiscono “artigianali”, espressione di un tessuto produttivo fantasioso e variegato, contraddistinto da estro e professionalità.
Un incontro che finisce per stringersi la mano
Il birraio si trova a metà strada tra un cuoco ed un enologo; la materia prima ne segna il lavoro, ma altrettanto fa la sua personalità, forse più che nel settore enologico, essendo oltre che cantiniere anche realizzatore del mosto fermentiscibile, secondo le proprie personalissime ricette.
Tra l’altro i vini e le birre artigianali, grazie ad una società sempre più attenta alla qualità, finiscono fisiologicamente per stringersi la mano. Pensiamo agli abbinamenti culinari, al ritorno dei vini naturali, come delle birre a fermentazione spontanea, alle birre Italian Grape Ale, stile oramai riconosciuto a livello internazionale che si fonda proprio sull’abbinamento tra produzioni enologiche e brassicole.
E così, mi consenta di concludere brevemente con l’invito ai due amici di penna di abbandonare la teorica di casta, evitando ancor più il classismo anagrafico, dato che i giovani, accusati di esser bevitori smodati di birra (quando peraltro la preoccupazione di abuso va piuttosto riferita a cocktail e superalcolici) in realtà, se si avvicinano al gusto ed alla qualità, da dovunque essa promani, è solo un bene.
Vien da ricordare poi, in particolare, a Camillo, che il vino della sua stessa (e mia) Parma, il Lambrusco, veniva considerato, fino a qualche annetto fa, poco più di una bibita mal riuscita.
Andrea Soncini
Consigliere Direttivo Unionbirrai
Fonte: Ufficio stampa Unionbirrai
Considerazioni
Da buon appassionato di birra, non posso che non uniformarmi al pensiero di Andrea Soncini. Parlare di birra in modo approssimativo è già un errore, in quanto esprime un pensiero riduttivo e privo di cultura birraia. E se proprio di cultura dobbiamo parlare, sicuramente è sbagliato fare differenze tra le radici del vino e quelle della birra.
Seppur l’Italia rappresenta da sempre uno dei maggiori produttori di vini pregiati, la scuola birraia non è da meno. Certo, la birra ha tradizioni provenienti da confini lontani. I paesi nordici la producevano prima di noi! Ma questo non esclude la qualità, la passione e l’intraprendenza di chi la birra ha deciso di realizzarla nel Bel Paese.
Già, perché la birra oltre che qualità, offre lavoro a tanta gente, rappresentando un punto fondamentale dell’economia italiana. Non si sta parlando delle birre “fotocopiate” derivanti dalle grandi multinazionali; si sta parlando di bevande realizzate in birrifici artigianali, che difendono a spada tratta la loro magistrale manifattura.
Per cui ben venga se il consumo di birra in Italia aumenta ogni anno; se i giovani invece di scolarsi cocktail e superalcolici si fanno una buona birra, magari un’artigianale Made in Italy. L’importante è cogliere il meglio da questi due modi apparentemente distanti, divisi solo da un idealismo sterile che ignora cultura, qualità e chimica!
Buona birra a tutti.