Il pH nella birra ha un ruolo fondamentale, che nell’ingranaggio produttivo concorre alla buona riuscita della cotta. Misurare il pH fin dall’inizio della produzione, infatti, fornisce un chiaro monito sull’ambiente in cui stazionano gli enzimi responsabili della trasformazione degli zuccheri nel mosto. Questi, affinché svolgano bene il proprio lavoro, necessitano obbligatoriamente di un contesto adeguato, il quale garantirà un risultato finale qualitativamente superiore. Tuttavia la riuscita di una buona birra non dipende solo ed esclusivamente dal Mash, bensì da tutti gli steps che completano la produzione e quindi bollitura, fermentazione e maturazione, a loro volta caratterizzati da un pH che ne determinerà la corretta esecuzione. Ma sostanzialmente qual è o meglio quali dovrebbe essere i valori di pH a cui fare attenzione lungo tutta la catena di produzione della birra fatta in casa?
Indice
I numeri che contano: Il pH nella birra dal Mash alla bottiglia
Come ampiamente discusso, il pH rappresenta uno degli aspetti più importanti nella produzione della birra. A tale proposito in rete si trovano tante e confusionarie opinioni sul giusto carattere acido o basico della cotta, limitate principalmente sulla complessa fase dell’ammostamento. Ciò nonostante, come anticipato, un buon risultato non dipende solo dal Mash, ma da tutto il processo di produzione (compresa la maturazione in bottiglia), caratterizzato a sua volta da differenti situazioni di pH.
Ma niente paura! Gestire il pH durante le fasi di produzione casalinga è abbastanza semplice, grazie all’impiego di acidi alimentari (acido lattico, citrico, fosforico) e attraverso un’attenta selezione dell’acqua di ammostamento. Ma sebbene l’evoluzione ha reso possibile il controllo del pH nel migliore dei modi, spesso ci sono parecchie incertezze su come effettuare la misurazione.
Ebbene, per la corretta determinazione del pH nei diversi contesti della produzione è necessario uno strumento adeguato e funzionale (niente cinesate quindi, vedi “Gli indispensabili” nella sezione consigli per gli acquisti). Inoltre la misurazione deve, convenzionalmente, avvenire sempre a temperatura ambiente (25 °C). Questo per due motivi:
- Il pH varia in funzione della temperatura;
- Gli strumenti generalmente tendono a danneggiarsi se sottoposti a temperature troppo elevate.
Il pH durante il Mash
In fase di ammostamento avviene la scomposizione degli amidi in zuccheri più o meno complessi. Tale lavoro è svolto dagli enzimi α-amilasi e β-amilasi, i quali per lavorare in modo ottimale necessitano di un pH compreso tra 5.2 e 5.5 (misura effettuata a temperatura ambiente).
Nella parte più bassa del range si andrà a favorire l’azione della β-amilasi, mentre nella parte più alta si agevolerà l’azione della α-amilasi. Valori di pH superiori o inferiori a questo intervallo tendono a inibire gli enzimi, con conversioni più lente o tendenzialmente non finalizzate. Un pH eccessivamente alto, inoltre, incentiva la solubilizzazione dei polifenoli dalle trebbie, con potenziali problemi di astringenza, specialmente in mash con elevata concentrazione di malti scuri.
Va chiarito però, che nella determinazione di tali livelli di pH nell’ammostamento, la qualità dell’acqua iniziale si rivela di fondamentale importanza. A incidere sul Mash, infatti, non è tanto il pH iniziale dell’acqua (solitamente intorno ai 7 punti) e quindi tendenzialmente irrilevante, quanto la concentrazione dei bicarbonati disciolti perché fungono da tampone alla discesa del pH durante il Mash In.
Il pH nello Sparge
Il pH in questa fase non ha più rilevanza sul lavoro degli enzimi, precedentemente disattivati durante il Mash-Out. Tuttavia il valore di pH nell’acqua di Sparge, specie se troppo alto, si rivela ugualmente importante per due motivi:
- Favorisce l’estrazione di tannini, con possibili problemi di asprezza e astringenza sulla birra finale;
- Unendosi al pH dell’ammostamento, finirebbe inevitabilmente per influenzare il carattere acido del mosto.
A tale proposito, per non creare grosse variazioni di pH nell’ammostamento, è bene acidificare l’acqua di Sparge affinché raggiunga un valore di pH inferiore a 6 punti (diciamo pure intorno ai 5.5), misura effettuata sempre a temperatura ambiente (25°C). Questo accorgimento eviterà di ritrovarsi successivamente in bollitura un pH complessivo troppo elevato.
Il pH nella Pentola di Bollitura
Poco approfondito in rete, ma di grande importanza, è il pH che si raggiunge nella bollitura del mosto. Tale valore è, ovviamente, la diretta conseguenza del mosto d’ammostamento che confluisce con l’acqua di sparge. Il range ottimale di pH in questa fase, da cui dipende la coagulazione delle proteine, l’estrazione dei polifenoli dai luppoli e l’imbrunimento del mosto, è compreso tra 5.2 e 5.3.
Naturalmente ritrovarsi in pentola un valore di pH compreso in una finestra così ristretta non è sempre scontato. Questo perché durante l’ammostamento il pH generalmente tende a salire leggermente. Inoltre solitamente si preferisce praticare un mash su valori di pH più alti per favorire il lavoro della α-amilasi.
A tale proposto, aggiungere una piccola dose di acido a inizio bollitura potrebbe favorire il raggiungimento di un pH adeguato. Questo aiuterebbe a evitare un eccesso di proteine, scongiurando quindi problemi di torbidità sia a freddo (chill haze) che permanente (permanent haze). Ma non solo! Un pH corretto garantirebbe, inoltre, una migliore luppolatura, che consentirebbe di avere un amaricatura più morbida ed elegante (il pH minore evita l’eccessiva estrazione degli IBU), ed eviterebbe l’eccessivo imbrunimento del mosto.
Il pH durante la Fermentazione
A fine bollitura il mosto dovrebbe avere un pH che si attesta intorno ai 5.1-5.2. Tale valore, già dopo alcune ore dall’inoculo del lievito e fino al termine della fermentazione, tenderà a scendere ulteriormente. Questo è dovuto al lievito che, consumando aminoacidi (generalmente frenano la discesa del pH), produce diverse tipologie di acidi.
Al termine del periodo fermentativo il pH dovrebbe trovarsi in un range compreso tra 4-4.5 e rimanere stabile. Tuttavia va precisato che non esiste un range ottimale di pH a fine fermentazione, in quanto il valore potrebbe dipendere sia dagli ingredienti in ricetta che dal lievito.
Può succedere infatti che a fermentazione conclusa il pH aumenti. Questo potrebbe indicare un contatto troppo prolungato del lievito con la birra, una possibile autolisi delle cellule del ceppo oppure un eccessivo dry-hopping in fermentazione. Ben differente è invece il verificarsi di un pH troppo basso (sotto 4), che potrebbe indicare una probabile contaminazione batterica.
Il pH finale della birra in bottiglia
Finalmente il percorso del pH si completa in bottiglia e, se nel corso della catena produttiva sono stati rispettati tutti i range, nel bicchiere la qualità della nostra birra risulterà di gran lunga elevata. Per questo motivo è fondamentale controllare ed eventualmente correggere il pH fin dalle prime fasi di produzione, facilitando di fatto il lavoro di conversione degli enzimi e di metabolizzazione del lievito.
Ma quanto dev’essere il pH finale della birra? Il pH finale di una birra “ordinaria” deve avere un valore compreso tra 4 e 4.5, tenendo presente che la misura va effettuata sempre a temperatura ambiente (25 °C). Ma su cosa incide un pH finale corretto? Un corretto pH influisce su:
- Colore della birra. E’ vero che il colore nella birra dipende dagli ingredienti, ma arrivare in bottiglia con un pH basso garantirà una tonalità più brillante nella birra finale;
- Tenuta di schiuma: Ovviamente la schiuma è garantita da tutta una serie di fattori, ma prestare attenzione al pH non può che giovare alla buona tenuta;
- Intensità maltata: Una corretta gestione del pH finale garantisce una migliore espressività dei malti, in quanto valori di acidità troppo elevati tendono a coprire le caratteristiche aromatiche dei cereali.
- Percezione amaricante: Livelli di pH troppo alti disegnano un profilo amaricante ruvido e sproporzionato alla struttura organolettica della birra, mentre un pH più basso favorirà una sensazione amaricante decisamente delicata ed elegante.
A fermentazione conclusa il pH non è più modificabile, per cui come disse Giulio Cesare “alea iacta est” ovvero il dado è tratto. Di conseguenza se ci ritroviamo un pH che si aggira intorno ai 4-4.5 possiamo affermare che la birra è riuscita, ovviamente con i pregi e i difetti della produzione! Altri livelli di pH, invece, potrebbero indicare una fermentazione non gestita correttamente (livelli alti) oppure una possibile contaminazione del mosto (livelli bassi). In questo caso… sbagliando s’impara!
Buona birra a tutti.